Tra un tendone e l’altro si sentono dei colpi sordi, come delle martellate. Dietro la struttura bianca della Croce Rossa, in un pezzo del piazzale non asfaltato, due uomini vestiti di verde stanno spaccando la legna. Qualche metro più in là dei ragazzi cucinano zuppa in delle marmitte da campo e piccoli gruppi si scaldano intorno a un fuoco acceso in un barile di latta, di quelli che si usano per il petrolio. Famiglie in fila ai banchi delle associazioni di volontari che distribuiscono cibo, militari che riempiono boccioni d’acqua da un’autocisterna, alcune postazioni con le prese per ricaricare i cellulari e persino una cappella per la preghiera.

COSÌ SI PRESENTA IL VASTO piazzale della stazione centrale di Leopoli al decimo giorno di guerra. Migliaia di persone in arrivo da Kiev e dall’est, altre migliaia che provano a partire verso la Polonia. Oggi (ieri,ndr) alle 19.13 è partito il treno per Varsavia, abbiamo provato a raggiungere i binari per vedere da vicino quello che per molti è il treno della speranza, ma è stato impossibile. Una coda che arriva fino alle scale esterne del grande ingresso di legno e vetro, attraverso vortici umani imprevedibili e odori acri di folla in attesa, non permetteva l’accesso a chi non avesse la motivazione necessaria. Vecchie signore che a volte ti guardano male e, credo, ti rimproverano perché hai l’età per combattere e invece sei lì con una macchina fotografica in mano. Ma cosa c’è da guardare, sembrano chiedere.

IN REALTÀ È UNO SPETTACOLO avvilente. Non si riesce a non guardare un po’ inebetiti da quella sinestesia di sensazioni che una gran folla provoca. Ma non per la pietà, quanto per la consapevolezza che tutto ciò sia solo una piccola parte di una tragedia appena agli inizi.

IERI LE NAZIONI UNITE riportavano un milione e duecentomila sfollati oltre confine, ma qui a Leopoli non importa cosa dicano le cifre ufficiali, la crisi è davanti agli occhi. Anche se la stazione è a circa tre chilometri dal centro città gli abitanti non stanno fingendo che non li riguardi, anzi, decine di volontari di tutte le età distribuiscono cibo e ogni tipo di bene di prima necessità. Qualcuno addirittura ha portato gli strumenti e suona per tirare su il morale a chi dovrà affrontare almeno dieci ore di treno in piedi e per lunghi tratti al buio.

INTANTO DALLA MATTINA nell’oblast di Kiev sono continuati i combattimenti a nord-ovest della capitale e a sud. Nel distretto di Bucha, lo stesso dove gli ucraini avevano fatto saltare i ponti sul fiume Irpin qualche giorno fa, sono continuati gli scontri a fuoco. Di contro, a Mariupol e Volnovakha, da metà mattinata è stato proclamato un «cessate il fuoco» temporaneo che avrebbe dovuto permettere l’evacuazione dei civili.

SI TRATTA DI 461 MILA PERSONE che da due giorni scontano tagli nelle forniture di acqua, luce e gas. Ci si aspettava che circa la metà approfittasse di questo «corridoio umanitario» per cercare rifugio a ovest o verso la Moldavia; tuttavia, la maggior parte non si è fidata ed è rimasta nelle proprie case. Anche perché, alle 11, ovvero l’ora indicata come inizio della tregua, ancora si sentivano distintamente i boati delle esplosioni in molte zone del centro abitato. Di fatti, la questione dei corridoi umanitari è ancora troppo confusa. Non si capisce chi possa garantire il rispetto della tregua durante le ore designate e non è stata nominata nessuna istituzione o entità super partes che sia riconosciuta da entrambi gli eserciti belligeranti.

IL CANDIDATO MIGLIORE, ovviamente, sarebbe la Croce Rossa, ma al momento non sembra si sia giunti a un accordo. Più tardi, mentre il ministero della difesa ucraino diffondeva la notizia che 66 mila emigrati sono tornati nel Paese per unirsi allo sforzo bellico, a Kherson (conquistata ieri dalle forze russe) i residenti hanno dato vita a una manifestazione non autorizzata con bandiere ucraine e striscioni per protestare contro gli occupanti. Per fortuna non c’è stata la risposta violenta che in molti si aspettavano dal contingente russo ora di stanza in città è si è evitata una strage.

CONTEMPORANEAMENTE, la testata Ukrainka Pravda ha fatto sapere che i servizi segreti ucraini, l’Sbu, hanno ucciso Denys Kirieiev, un membro della delegazione incaricata delle trattative con la controparte russa. Secondo il giornale, Kirieiev sarebbe stato accusato di alto tradimento e arrestato in quanto informatore dei russi ma, durante l’arresto, ci sarebbero state delle «complicazioni» che hanno poi portato alla morte del politico. La vicenda resta avvolta nel mistero.

DI CONTRO, GRANDE ECO ha avuto la notizia della morte del comandante Valeriy Chybineiev, considerato un eroe nazionale, durante la battaglia per l’aeroporto di Hostomel. La stessa in cui è stato distrutto l’aereo Antonov. Chybineiev aveva compiuto 34 anni due giorni fa, poco prima che i russi iniziassero l’offensiva in quel quadrante dell’oblast di Kiev. In molti si sono profusi in lodi ed elegie del militare, sia su internet, sia nei notiziari televisivi.

A SERA, PER LA SECONDA VOLTA, c’è stato un cambio di fronte a Mykolaiv, e secondo fonti ucraine la città sarebbe di nuovo stabilmente in mano alle truppe di Kiev. Poco dopo, verso l’ora di cena, sono ripresi con rinnovata intensità i bombardamenti che hanno decretato la fine del già fallimentare corridoio umanitario nella zona di Mariupol.

PER CHIARIRE QUESTA situazione e per cercare di dare davvero la possibilità ai civili delle zone più funestata da questa guerra ormai giunta al decimo giorno, il 7 marzo le delegazioni di Russia e Ucraina si sono date appuntamento per il terzo incontro del tavolo negoziale che sta tenendo il mondo con il fiato sospeso. Tutti auspicano una soluzione, almeno temporanea, che permetta alle centinaia di migliaia di civili delle zone orientali di mettersi in salvo, ma per ora ciò che è certo è che solo in pochi, come nel piazzale della stazione di Leopoli, si stanno dando da fare per raggiungere quest’obiettivo.

NEL FRATTEMPO, L’ATTACCO a Odessa è stato posticipato probabilmente a causa delle cattive condizioni meteorologiche che hanno obbligato le navi ad allontanarsi dalla costa impedendo lo sbarco delle truppe anfibie.