Scoperti tra le carte di Anna Gruber conservate nella Biblioteca Civica di Trieste, i due soggetti inediti di Linuccia Saba, «Il triangolo della virtù» e «Una storia milanese», risalgono agli anni del dopoguerra intorno al 1948, quando la rivoluzione neorealista è in piena fioritura con i capolavori di De Sica-Zavattini, Rossellini, Visconti. Più o meno esplicito, c’è in entrambi il gusto del fantastico sociale che fa lievitare lo scenario pauperistico delle vicende.

Se «Il triangolo della virtù», ambientato in una cittadina della Val d’Aosta, sospeso com’è tra la tristezza impiegatizia dei protagonisti e il capovolgimento favolistico della seconda parte, rischia di perdersi per strada nella sovrabbondanza dei motivi narrativi fuori controllo, «Una storia milanese» è perfetto nella misura con cui la figura della protagonista fa tutt’uno con lo sfondo della tipografia, delle compagne di lavoro, delle amiche, dove l’apparizione delle banconote false è una bella metafora in grado di far esplodere dall’interno le contraddizioni della storia e dei suoi aspetti più segreti. Nonostante i tentativi (e l’apprezzamento di Mario Soldati) i due soggetti non trovano mai la strada della realizzazione, e restano come un’ulteriore testimonianza della vivacità intellettuale di Linuccia Saba, che nel corso di una vita intensa e complessa, fra Trieste e Roma, fra il padre Umberto e l’amico Carlo Levi, si prova a più riprese nella pittura e nella scrittura giornalistica.
Il rapporto con Carlo – la sua storia d’amore con lui sboccia negli anni romani dal gennaio ’45 in poi, rievocati con disincantata lucidità in «L’orologio», per animare poi, dopo gli slanci della passione, una profonda intesa – è il contesto più vicino e motivante, sullo sfondo del lungo soggiorno romano, in cui si intrecciano relazioni e amicizie, destinate a durare nel tempo. Solo un paio di anni prima degli sfortunati tentativi di far arrivare sullo schermo i soggetti di Linuccia, Carlo aveva cercato inutilmente di promuovere la realizzazione del film ispirato a «Cristo si è fermato a Eboli», il grande romanzo a cui doveva la notorietà, che in un primo tempo avrebbe dovuto girare Luigi Comencini.
Solo più di trent’anni dopo il progetto andrà in porto nel 1979 con Francesco Rosi. Negli anni seguenti, le qualità di Linuccia, brillante e tenace, inquieta e creativa avranno modo di esprimersi nei pezzi per «Il Punto» e nella intensa collaborazione con Carlo, con cui scrive gli articoli per «La Stampa», rivede e corregge tutti i suoi testi. Se all’indomani della morte del padre, sarà lei a occuparsi delle edizioni delle sue opere, subito dopo la scomparsa di Carlo, nel giugno 1975 avvia la Fondazione Carlo Levi, destinata a valorizzarne il patrimonio letterario e pittorico. Un’impresa nella quale come primo presidente Linuccia rivelerà una sorprendente intelligenza manageriale (pp. 110, euro 12,00).