Prendete un francese di origine algerina poco più che ventenne. Con buona probabilità avrà occhi e capelli scuri. Ora immaginate che si faccia credere un ragazzo texano di diciassette anni, biondo e con gli occhi azzurri scomparso qualche anno prima. Impossibile, diranno in molti. Eppure è successo. Una storia folle e incredibile raccontata dall’inglese Bart Layton, avvincente quanto un thriller, sconvolgente quanto solo la realtà è in grado di essere. La storia comincia in Texas negli anni ’90, lì Nicholas Barclay, un ragazzino di 13 anni svanisce nel nulla. Di lui non si trova più traccia. T

Tre anni e mezzo dopo una notizia incredibile: Nicholas sarebbe stato rintracciato in Spagna, sopravvissuto a rapimento, torture e violenze di persone misteriose, esperienza che lo ha scosso profondamente. Le autorità avvisano la famiglia d’origine, la sorella, adulta e sposata, lo raggiunge in Spagna e insieme tornano in Texas. La famigliola felicemente riunita. Sono in molti però a rimanere dubbiosi. Il pallido ragazzino ora ha la pelle più scura, i capelli da biondi sono scuriti e la barba è folta e nera, gli occhi da blu sono diventati castani, anche il suo accento non ha più nulla a che vedere con quello texano. Certo, quei tre anni e mezzo lo hanno cambiato molto, ma si presume che il cambiamento sia psicologico, non fisico. Eppure in famiglia non si pongono troppi problemi, lo hanno accettato serenamente, dopo il comprensibile sbarellamento iniziale. Inutile dire che questo Nicholas non è il vero Nicholas, ma Frédérique Bourdin, un francese di origine algerina che sembra avere assimilato la lezione di Zelig. Vivace, creativo, millantatore, abile, ha impersonato un esercito di giovani, tutti farlocchi, sicché per evitare guai con le autorità, grazie a circostanze davvero singolari, è riuscito in qualche modo a farsi passare per Nicholas.

Siamo in ambito documentario, quindi non sveliamo granché dicendo che Frédérique si è spacciato per Nicholas, è il concatenarsi delle vicende, il susseguirsi delle testimonianze, il paradosso della realtà che porta The Imposter (presentato recentemente anche al Bergamo Film Meeting) a una rappresentazione straordinaria di una storia impossibile. Layton ha coinvolto non solo Frédérique che racconta tutto quel che ha combinato, è riuscito a coinvolgere nell’operazione l’intera famiglia Barclay, dall’inquietante mamma, alla trepidante sorella, suo marito e altri ancora tutti intenti a comporre un puzzle grottesco. Coinvolti nella rappresentazione poi sono anche organismi ufficiali: la polizia spagnola, la magistratura di quel paese, l’ambasciata Usa, l’Fbi, insomma un intrigo internazionale orchestrato da un ragazzotto perversamente geniale, capace in un istante di far girare a suo favore qualsiasi evento. E visto che siamo nel campo della realtà fantasiosamente interpretata non guasta che il detective sospettoso che ha smascherato l’inghippo si chiami Charlie Parker, come il jazzista, e che la chiave di volta per risolvere il caso sia stata proprio una questione di orecchio.

E poi, come raccontare in un documentario, in un prodotto che per definizione documenta, quindi ancorato alla verità una storia tutta basata sulla dissimulazione e sulla falsità. Viene in soccorso il cinema di fiction: Rashomon in particolare. In The Imposter ognuno dei protagonisti ha un suo punto di vista personale sulla vicenda. Tutti plausibili. Solo che, un po’ alla volta, quella verità che sembrava dovesse rimanere esclusa da questa storia si fa strada trasformando un semplice documentario in un gioiellino imperdibile.