«Lo spazio di azione della Corte è molto più ampio che in passato» dice il presidente Giorgio Lattanzi. La sua relazione è concentrata sugli «innovativi strumenti decisori» cui sta ricorrendo la Corte costituzionale per arrivare anche in quelle «zone d’ombra dell’ordinamento ove è più difficile che possano essere sollevate questioni incidentali».

Lattanzi ha superato da poco la metà mandato di una presidenza lunga. Racconta di una Corte interventista che a differenza del passato non si rifugia più nella «inammissibilità di una questione quando dopo la pronuncia di illegittimità costituzionale sarebbe necessaria un’ulteriore attività legislativa». Visto che non bastano i «moniti» a stimolare l’intervento del parlamento, si corre altrimenti il rischio di lasciare in vigore norme incostituzionali. E’ il caso della recente sentenza sugli stupefacenti. Dopo aver segnalato invano al legislatore che la pena minima per i casi gravi di spaccio era irragionevolmente alta rispetto a quella massima per i casi lievi, la Consulta ha prodotto una sentenza «additiva» con la quale ha fissato la pena in una misura mediana, quasi assumendosi la responsabilità di scrivere una nuova norma, o meglio «rinvenendola nelle pieghe dell’ordito legislativo». E ancora, giudicando che «il vuoto normativo è esso stesso costituzionalmente illegittimo», la Corte si è presa la responsabilità di intervenire con «una nuova tecnica» che Lattanzi definisce «di incostituzionalità prospettata».

E’ il caso dell’ordinanza Cappato, con la quale la Consulta ha dato un anno di tempo al parlamento per depenalizzare – nei confini che sceglierà il legislatore – l’aiuto al suicidio di chi decide consapevolmente di rifiutare le cure mediche. Ma ha già avvertito le camere che in caso di inerzia dovrà decidere per l’incostituzionalità della norma impugnata. La Corte sta così attaccando il totem della materia penale, presidiata da una riserva di legge assoluta (l’articolo 25 della Costituzione), perché si è resa conto che ritraendosi del tutto stava lasciava fuori dal controllo di costituzionalità proprio la materia che più incide sulla libertà personale. Ma il nuovo campo delle ordinanze a decisione rinviata è più vasto, ci si può far ricadere anche la pronuncia sul conflitto di interessi sollevato dal Pd contro il modo in cui è stata approvata la legge di bilancio. Basta strappi, ha in qualche modo detto la Consulta alle camere o meglio alla maggioranza, la prossima volta interverremo anche su ricorso di un singolo parlamentare.

Lattanzi ha parlato per questo di una «nuova forma di collaborazione» tra la Corte e il parlamento, anche se quello a cui si assiste somiglia più a uno scontro. Sul fine vita, a sei mesi dalla scadenza dell’ultimatum fissato dai giudici costituzionali, l’esame del disegno di legge è appena cominciato nelle commissioni alla camera (e per questo da oggi l’associazione Coscioni si mobilita in cento città). Il presidente Fico sprona il parlamento a intervenire «in modo approfondito ma tenendo nella dovuta considerazione i tempi». E anche sulle droghe, la Consulta ricorda che una condanna troppo lunga è in contrasto con la funzione rieducativa, ma la Lega deposita una proposta di legge che va in senso opposto. Salvini annuncia un aumento di pena. Lattanzi non polemizza però è chiaro sia sul primo – «se il parlamento non interverrà lo farà la Corte» che sul secondo argomento – «sugli stupefacenti ci siamo espressi giudicando incoerente il quadro normativo attuale».

Il presidente non ha voluto sbilanciarsi nemmeno sul nuovo ruolo che la riforma costituzionale in discussione assegna alla Corte, quello di valutare in maniera preventiva la costituzionalità di un progetto di legge di iniziativa popolare rafforzata, durante la fase della raccolta delle firme. Una valutazione astratta su un testo nemmeno approvato dal parlamento che alcuni costituzionalisti criticano e che sicuramente è una grossa novità per il sistema italiano. Ma la sua opinione Lattanzi l’ha fatta capire, spiegando che «non bisognerebbe proporre continuamente di cambiare la Costituzione». Perché la nostra Carta «è un orologio di precisione in cui il primo che arriva non può cambiare una rotella». Nemmeno limitandosi alla famosa «seconda parte», perché «anche intervenendo sull’organizzazione si corre il rischio di mettere in discussione i diritti». Questo, ha detto il presidente «gli italiani lo hanno capito meglio dei politici» facendo vincere il no in due referendum costituzionali. «Per fortuna» ha potuto aggiungere, essendo quel capitolo ormai chiuso. Concludendo con il pensiero più politico, e tagliente: «Ho l’impressione che molti di quelli che hanno proposto quelle modifiche oggi sono ben contenti che non siano state approvate».