Emmanuelle Richard nel suo libro I corpi astinenti. Il sesso tra imposizione sociale e libertà (pp. 222, euro 17), edito in Italia da Tlon nella traduzione di Valentina Maini, sceglie di intervistare 37 persone (15 uomini e 22 donne) per la maggior parte eterosessuali e di età diverse che hanno scelto di parlare di sé, segnatamente del proprio rapporto con l’astinenza sessuale. In questo testo la struttura rivela un’intelligente ibridazione dei generi ma anche l’idea che la scrittura nasca, anche quando vuole essere saggistica, dal partire da sé.

LO SGUARDO OSSERVANTE e in questo caso questionante è situato e debutta con la descrizione della propria condizione di astinenza sessuale – prima subita e poi scelta, assunta e poi ancora sofferta. Nel volume, in cui il terrain assomiglia a quello di una ricerca sociologica, l’esperienza della voce narrante di Emmanuelle Richard comincia raccontando lo sconvolgimento provocato dalla vicinanza fisica con il proprio osteopata a seguito di un periodo prolungato di astinenza dal tocco altrui.
ASSUMERE il partire da sé e aprirsi alla condivisione delle esperienze delle 37 persone intervistate mostra da una parte la lungimiranza di una scelta che allarga la prospettiva della visione sull’astinenza sessuale, ma anche l’ammissione della fatica a trovare una definizione univoca e generale dell’astinenza; ve ne sono infatti, spiega Richard, di moltissimi tipi, almeno quanti sono gli individui che la vivono. È la mancanza che genera la condizione dell’astinenza ed è indiscutibilmente qualcosa di variabile: per gli intervistati inizia quando è avvertita quella mancanza, multiforme perché strettamente correlata alle aspettative (differenti) di ognuno riguardo ai rapporti che desidera intrattenere con altri.

Esiste una temporalità comune che definisce l’astinenza? Si tratta di una scelta voluta o subita? Ci sono desideri più accettabili di altri? E perché l’astinenza sembra essere restata uno degli ultimi tabù?

EMMANUELLE RICHARD prova a ipotizzare delle risposte evocando un aspetto fondatore, che torna in tutte le testimonianze e che rappresenta anche il leitmotiv della sua: centrale è la questione del tocco, della carezza. Si tratta del toccare e dell’essere toccati, necessario, di cui parlava Luce Irigaray nel suo saggio Essere due (1994). Cioè quel gesto che non vuole possedere e che si esprime in quanto dono d’intenzione. Per tutti gli intervistati la mancanza del tocco altrui è vissuta come dolorosa e difficile da gestire sul lungo termine; la masturbazione invece è vista ora come «coabitazione con il desiderio» ora come palliativo. In ultima analisi, nella masturbazione a mancare sarebbe «la poetica dell’inatteso» – pur rappresentando un metodo di scoperta o riscoperta del proprio corpo e dei propri mezzi di accesso al desiderio.

La scrittrice a più riprese riesce a far emergere in quale (abnorme) misura la sessualità e l’intimità dei propri intervistati siano sfasate rispetto alle rappresentazioni ostentate socialmente ma anche a quelle mediatizzate. Spiega l’importanza di ridefinire i codici di quella mascolinità prestazionale e eternamente inappagata e inappagabile attraverso la messa in discussione dei diktat e il questionamento dei rapporti interpersonali.

L’INGIUNZIONE alla seduzione è presentata e vissuta dagli intervistati come qualcosa di sempre costrittivo: dal diritto al desiderio e la ricerca del piacere saremmo passati secondo Richard a un’intimazione coattiva al godimento. Nelle relazioni eterosessuali il gioco della seduzione si è trasformato in qualcosa di profondamente gravoso e l’eteronormatività continua a alimentare quello che la scrittrice francese chiama l’imperativo alla «resa»: l’essere cioè per le donne soggetti desiderabili e non desideranti; il che significa attendere di essere scelte.

L’astinenza per Emmanuelle Richard costituirebbe allora una pausa, più, meno o indefinitamente lunga, per niente mortifera, capace di a determinare e sviluppare il largo e mutevole ventaglio dei nostri desideri. Rappresenterebbe insomma una certa forma di autonomia atta a generare stati di libertà che allontanano da quella che talora può essere vissuta come una dipendenza dall’altro; ma anche e soprattutto dalle ingiunzioni a «performare» secondo modelli davvero incompatibili con la fragilità di ognuno e decisamente fantasmatici rispetto agli incontri sessuali e amorosi di soggetti felicemente desideranti.