Uno scienziato della società e uno della natura che si uniscono per raccontare la città come sistema «complesso». Già nell’assortimento degli orizzonti disciplinari dei due autori – Cristoforo Sergio Bertuglia, urbanista, e Franco Vaio, fisico – vi è il segno dell’originalità de Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, pp. 798, euro 38), viaggio appassionato e appassionante attraverso le trasformazioni della forma urbana e le riflessioni che le hanno accompagnate e spesso influenzate.

COME SCRIVONO i due autori, le città sono «sistemi complessi a più dimensioni», che funzionano ed evolvono secondo quella stessa dinamica di autorganizzazione descritta da Prigogine e dagli altri teorici della scienza della complessità per i sistemi fisici e biologici, e che richiedono un approccio analitico multidisciplinare che integri – secondo la «lezione» di Edgar Morin, altro pioniere della complessità – scienze naturali e sociali.
Nel caso dei sistemi urbani, il «vivere» e il «divenire» sono governati da un’incessante dialettica tra modificazioni nella struttura fisica e comportamenti dell’altro attore decisivo della città: l’essere umano. E un’analisi rigorosa della «città complessa» deve coinvolgere molteplici strumenti disciplinari: dall’economia alla sociologia, dall’architettura all’urbanistica, dalla biologia all’ecologia.

PROPRIO L’ECOLOGIA, scienza della complessità per eccellenza, mette a disposizione strumenti concettuali particolarmente efficaci per capire la città complessa. Così, poco dopo che l’ecologo Arthur Tansley ebbe battezzato, nel 1935, come «ecosistema» l’insieme degli organismi viventi e della materia non vivente che interagiscono in un determinato ambiente, nacque la nozione derivata di «ecosistema urbano»: anch’esso un ecosistema ma artificiale, e un ecosistema non autonomo poiché la materia (cibo, acqua) e l’energia che utilizza è in larga misura «importata» dall’esterno e poiché esso a sua volta «esporta» una grande quantità di residui (emissioni gassose, scarichi, rifiuti).

UNO DEI PILASTRI della scienza della complessità è nell’assunto che l’osservatore partecipa della realtà osservata: la condiziona, ne codetermina i cambiamenti. Coerentemente con questa premessa, Bertuglia e Vaio dedicano molte pagine del loro studio alle concezioni sociologiche, filosofiche, antropologiche che hanno letto la città come luogo complesso: dalla sociologia urbana di Simmel e della scuola di Chicago che mette al centro della sua riflessione la condizione specifica, materiale e psicologica, dell’«homo urbanus», a Lewis Mumford e Jane Jacobs che allargano il concetto di qualità urbana dai soli parametri della prosperità economica a criteri più ampi quali la sicurezza, la piacevolezza, la salubrità, la convivialità offerte dalle varie configurazioni sociali e spaziali dei sistemi urbani.

COME DETTO e come continuamente richiamato da Bertuglia e Vaio, in quanto realtà complessa la città reagisce continuamente alle interferenze degli «umani» che la popolano, cioè all’agire di quella specie animale che ha fatto della città la sua principale «nicchia ecologica». Già mezzo secolo fa Jacobs teorizzava che il carattere complesso della città impone che siano i cittadini i primi protagonisti della progettazione urbana: insomma, la città complessa chiede democrazia, vera e profonda democrazia, mentre sempre più spesso il suo governo è lasciato – dalla destra come dalla sinistra – nelle mani prevalenti di grandi interessi economici, primi fra tutti quelli collegati alla rendita fondiaria.

È QUESTO sicuramente il caso delle città italiane, che dopo una breve ma intensa stagione di riformismo urbanistico concentrata soprattutto negli anni ’60 del Novecento e che ha prodotto frutti preziosi da Bologna a Brescia, da Firenze a Modena, da decenni si vanno degradando nelle forme e nelle funzioni (superconsumo di suolo, abusivismo edilizio, mobilità congestionata, inquinamento, periferie-ghetto), si sviluppano fuori da qualunque visione di senso civile e spaziale.
E così precipitano, come sottolineano Bertuglia e Vaio a conclusione del loro libro e come ognuno di noi constata ogni giorno, in una spirale progressiva di degrado anch’esso «complesso», sia fisico che sociale.