Paesaggio civile. Storie di ambiente, cultura e resistenza (Il Saggiatore, pp. 276, euro 22) è l’ultimo libro di Serenella Iovinoche con i suoi studi ha contribuito alla diffusione delle scienze umane ambientali. Antesignano in questo ambito fu Primavera silenziosa (Feltrinelli, 1963), scritto dalla biologa e zoologa statunitense Rachel Carson, che trattava dei danni causati dai pesticidi e dell’opera di disinformazione messa in atto all’epoca dalle industrie chimiche coinvolte. Questo saggio fu fondamentale per la nascita dell’ecocritica, la corrente di analisi letteraria che si occupa del rapporto tra mondo naturale e letteratura. Su questa traccia, Iovino indaga il tema dell’ambiente in Italia occupandosi di Napoli, la laguna di Venezia, le Langhe e il Monferrato, e dei terremoti dell’Irpinia, del Belice e aquilano. Leggendo e analizzando i testi connessi a questi eventi, dimostra che il testo letterario non deve essere concepito come un vuoto, ma legato al mondo che lo circonda.

IN QUESTO CONTESTO, si sviluppa il concetto di porosità per ripensare il rapporto fra corpi umani e non umani; è la porosità che rende possibile lo scambio molecolare, biologico fra i diversi corpi e fra i corpi e l’ambiente. Se scendiamo da un piano macroscopico a uno microscopico, durante lo sviluppo embrionale, ogni cellula si trova in un microambiente variabile, alla cui costituzione partecipano gli elementi vicini, che condiziona le scelte che le cellule compiono nel corso dello sviluppo tra le diverse possibilità differenziative consentite dal loro programma genetico. Cessato un segnale o perduta la competenza a rispondere a quel segnale, si stabilisce un nuovo equilibrio che può portare a un’ulteriore tappa differenziativa oppure mantenere il livello differenziativo già raggiunto. La sequenzialità delle interazioni induttive, espressione del continuo controllo esercitato da un ambiente variabile sulle cellule embrionali, è uno degli elementi che permettono di spiegare la gradualità degli eventi differenziativi e morfogenetici in termini di progressiva restrizione delle potenzialità del genoma.

Il pieno e il vuoto analizzati da Iovino nel suo saggio, possono essere in qualche modo riconducibili ai concetti che il matematico Paolo Zellini sviluppa nel suo Discreto e continuo. Storia di un errore (Adelphi, pp. 406, euro 28). In queste pagine, attraverso una ricognizione di scritti matematici, filosofici e religiosi, dall’antichità a oggi, l’autore rende evidente perché il concetto di continuo sia inevitabile, e il calcolo discreto sia un modo per immaginare il continuo e generarlo attraverso procedure effettive. Il termine continuo esprime il concetto di una catena dell’essere che tiene insieme l’immensità del creato ed è un tema che ha attraversato tutte le fasi di sviluppo del pensiero occidentale, dall’epoca dell’antica Grecia fino ai giorni nostri. Tra ‘800 e ‘900 si è compiuta una profonda rivoluzione del nostro modo di pensare e di concepire matematicamente il problema della continuità. L’unico sistema davvero continuo è quello spazio-tempo.

L’ANALISI MATEMATICA sarebbe applicabile al mondo reale solo se questo fosse costituito da oggetti ed eventi di carattere continuo; diversamente, la stragrande maggioranza dei fenomeni del mondo reale è caratterizzata dalla digitalizzazione di oggetti e fenomeni, che spesso agiscono in combinazione. Scrive Zellini: «Di solito ci si rappresenta il continuo come un prius, un insieme ideale, completo, ovunque denso e connesso, da contrapporre ai processi computazionali discreti che ne approssimano gli elementi, numeri o punti che siano». Le strutture del discreto hanno ancora moltissimo da dirci; queste macchine che stanno cambiando il mondo, le macchine digitali, hanno ancora bisogno di molta matematica discreta. I problemi che si pongono oggi nelle reti, i sistemi sono problemi di immersione nello spazio-tempo, problemi che capiamo e trattiamo meglio nel continuo. Oggi si osserva infatti un intreccio crescente tra continuo e discreto nell’informatica matematica o teorica.