Dalla Cina a Milano, sponda nerazzurra, in poche ore. L’Inter che cambia proprietà e passa ufficialmente in mani cinesi, alla Suning Commerce Group, totem della Grande Muraglia dell’elettronica (16,2 miliardi di dollari, il valore complessivo) è un segnale da cogliere sui movimenti magmatici che stanno provando, con molte resistenze, a cambiare, ridefinire le leggi del calcio italiano. All’estero le proprietà cinesi, orientali, oppure degli sceicchi con le riserve di petroldollari esistono da tempo, in Inghilterra soprattutto, nel Paris Saint Germain, Monaco. E si diceva, si leggeva che il prodotto italiano non attirava, poco competitivo per una serie di riforme mai portate a compimento, con ritardi nelle infrastrutture, senza stadi di proprietà per i club.

Invece, in tre anni, oltre all’Inter ceduta da Erick Thohir quasi in un battito di ciglia, c’è la Roma americana con James Pallotta, il Bologna sempre stelle e strisce del ricchissimo imprenditore Joey Saputo. Nelle serie minori patron di lingua diversa anche a Bari, in precedenza a Venezia, con i russi. E c’è la questione aperta del Milan, che da mesi sarebbe sul punto di cambiare proprietà. Prima il fantomatico Mister Bee, divenuto ormai macchietta da avanspettacolo italiano, ora pare attraverso una trattativa concreta, con Berlusconi che balla tra sentimenti e portafogli, volontà di gestire il passaggio di consegne e la necessità di allontanarsi dai debiti del club. In sostanza, il calcio italiano ora davvero, con i suoi pro e contro, si apre alla globalizzazione, ai capitali stranieri per recuperare un posto di prestigio nel panorama europeo.

Il prossimo passo sarà osservare la crescita di questi club dal punto di vista commerciale, con le strategie di marketing che hanno portato club di Premier League a fatturati a varie cifre in Asia, Australia. E non è un passaggio agevole. Certo, con la vendita dell’Inter a Suning c’è spazio, anzi ci deve essere spazio per un attimo di romanticismo, il rammarico per l’uscita di scena di Massimo Moratti, 21 anni di regno, 16 trofei in altrettanti anni di presidenza, un ciclo di vittorie, gli scudetti in fila con Roberto Mancini nel post Calciopoli, sei anni fa e anche tante sconfitte.

E forse il pentimento di essersi affidato a Thohir, poco dopo la cessione all’indonesiano aveva inteso che non ci sarebbe stato grande futuro per l’Inter. Lui, padre putativo di grandi campioni passati per la casacca nerazzurra, da Paul Ince a Ronaldo, Cristian Vieri, il Chino Recoba, la sua grande passione. Thohir invece resta, con il 31% delle quote, manterrà la carica da presidente fino alla completa acquisizione da parte di Suning anche delle sue azioni. L’indonesiano non ha mai convinto l’universo interista, le premesse per un ciclo vincente non sono state mantenute, anzi – con grande onestà intellettuale, gli va riconosciuto – per il calciomercato estivo che sta per partire aveva preventivato pubblicamente tre-quattro cessioni pesanti per recuperare fondi e mettersi in regola con i parametri del Financial Fair Play. Sino alla cessione dell’Inter, operazione che gli permetterà di guadagnare qualche euro.

Lo stesso Moratti ha detto che i cinesi investiranno, che a Milano torneranno a esibirsi top player, forse anche da subito, insomma che i cinesi della Suning sono pronti a investire, non promettere. E la fine dell’era Moratti e dell’interregno made in Giakarta potrebbe essere un campanello d’allarme, un invito alla riflessione ulteriore per Silvio Berlusconi, che non ne vuole sapere di cedere il Milan, la sua creatura portata in vetta al mondo ma da qualche anno avvitata al clima da spending review deciso dalla famiglia dell’ex Cavaliere.