Narendra Modi sarà il candidato del partito nazionalista indù Bjp (Bharatiya Janata Party, Partito del popolo indiano) per le elezioni governative indiane del 2014, quando con tutta probabilità sfiderà l’attuale vice-presidente del Partito del Congresso, Rahul Gandhi. La candidatura è arrivata lo scorso 13 settembre, dopo un’estenuante campagna mediatica che lo vede protagonista ormai da diversi anni.
Al governo del Gujarat dal 2001, Modi è diventato il simbolo di un’India capace di competere nei mercati internazionali. Il Bjp si è affermato per la prima volta in Gujarat negli anni novanta, in una situazione segnata dalla crisi del tessile, settore trainante in una delle «Manchester d’Oriente» fino al decennio precedente, e dall’erosione del Kham, la base elettorale che raggruppava le principali minoranze e basse caste dello stato (Kshatriya, Harijan, Adivasi e Musulmani) e che aveva permesso al Partito del Congresso di governare ininterrottamente dall’indipendenza. Il Bjp ruppe con la tradizione moderata e interconfessionale nella politica statale facendo del nazionalismo indù la chiave per una coalizione inter-castale che includeva pezzi del Kham e upper caste.
Modi diventò governatore sostituendo il dimissionario Keshubhai Patel facendo leva anche sugli storici attriti nazionalisti con il Pakistan, con toni anti-musulmani che riaprivano le ferite della partizione. I riots del 2002, con centinaia di morti soprattutto tra la minoranza musulmana, sono figli di questa situazione politica e sociale.

Trampolino di lancio

La tensione che seguì fu il trampolino di lancio di Modi, che si affermò nelle elezioni anticipate dello stesso anno. Le polemiche non sono mai cessate e su Modi incombe una responsabilità politica sulle stragi. Tuttavia, una volta diradati i fumi dei pogrom, il modello economico che ha imposto sullo stato si poneva in continuità con la svolta neoliberale imboccata anche a livello nazionale dopo la fine degli anni ’80, quando l’India fu interessata da un piano di aggiustamento strutturale sotto la tutela del Fondo Monetario Internazionale, aggiungendovi un piglio autoritario e abili capacità comunicative che ben presto trovarono ampio consenso nei circoli economici. A dieci anni di distanza, lo slogan del Vibrant Gujarat è divenuto un marchio internazionale i cui dati macroeconomici raccontano i successi dello stato, ponendo in secondo piano il modo in cui Modi si è affermato.
La vera carta nazionale di Modi è ormai fuori dagli schemi tradizionali del nazionalismo indù. Lo scorso gennaio il governatore ha tenuto un acclamato discorso di fronte a una folla di studenti nell’Università di Nuova Delhi prospettando una nuova era per l’India fatta di prosperità, fiducia nel mercato, ruolo dello stato a favore dell’impresa, sviluppo come priorità sociale assoluta. Di fronte agli studenti delle scuole di business il futuro candidato ha esposto una personale rilettura della storia e del destino dell’India, chiamando in causa due padri della patria come lui di origine gujarati, tracciando così una linea ideale: l’India con Gandhi ha lottato per l’Indipendenza con mezzi non violenti, con Patel ha organizzato l’indipendenza con mezzi rivoluzionari. Ma se l’indipendenza nazionale ha voluto dire capacità di autogoverno (swaraj), ha proseguito Modi, dopo 60 anni è tempo che lo swaraj lasci il campo al su-raaj, traducibile come «buon governo». Nel discorso di Delhi, Modi ha testato la presa di slogan e ragionamenti che ora diventano l’ossatura della sua campagna elettorale, opponendo lo sviluppo alla politica tradizionale: «La nazione è stata distrutta dalla politica alla ricerca dei voti – ha spiegato – la nazione ha bisogno ora di una politica basata sullo sviluppo». Il su-raaj, ha tuttavia precisato Modi, non è altro che la buona governance che accompagna lo sviluppo.
L’autorevole quotidiano in lingua inglese Times of India pare essere d’accordo. Il giornale ha proposto prima dell’estate una campagna intitolata «diamo voce ai leader delle corporation su come devono essere spesi i soldi dei contribuenti». L’appello, che attaccava gli sprechi di denaro pubblico, terminava in questo modo: «Il senso comune ci dice che l’istinto della classe politica sarà di spendere di più laddove pensano sia più populista, non dove ha più senso in termini economici. Abbiamo perciò bisogno di un meccanismo che funzioni da controllo su questi istinti. Noi suggeriamo che il modo migliore per farlo sia costituire dei comitati composti dai più eminenti e credibili leader di corporation che rappresentino vari settori dell’economia, con il compito di consigliare il governo sulle spese. Queste sono persone che hanno grande esperienza nella gestione di grandi somme di denaro e non sono condizionati dal bisogno di “comprare” voti».
In questa situazione, anche il movimento anti-corruzione che ha occupato la scena politica negli anni scorsi intorno ad Annah Azare, ha favorito l’affermazione dell’egemonia del mercato e del progresso misurabile dalle statistiche economiche. Diverse voci critiche, tra le quali Arundhati Roy e Partha Chatterjee, hanno osservato come dietro l’apparente ambivalenza interclassista del movimento si nascondesse una potente forza di spoliticizzazione della società. Il discorso anti-corruzione ha, infatti, semplificato il quadro nell’arena politica, favorendo l’affermazione del mercato quale unico ambito di mediazione legittima dei rapporti sociali. Per questo un personaggio come Modi, che promette discontinuità con la politica tradizionale vantando grandi successi economici, può beneficiare della situazione.

L’imperativo sviluppista

I numeri del Vibrant Gujarat sono raramente messi alla prova, perché l’imperativo sviluppista di cui Modi è interprete impone di rilanciare sempre in avanti le aspettative di crescita. Una recente ricerca curata da Atul Sood, docente alla Jawaharlal Nehru University, pone l’accento su diversi aspetti dell’ascesa di Modi, incluso l’uso delle Zone Economiche Speciali. Lo studio mostra come Modi abbia saputo valorizzare la posizione strategica del Gujarat, le lunghe coste e la vicinanza ad ampi tratti del Delhi-Mumbai Industrial Corridor, attirando investimenti massicci per la costruzione di zone e regioni economiche speciali grazie a una legislazione che favorisce l’uso speculativo dei terreni agricoli. La sinergia tra le autorità statali e le imprese nell’approfittare delle zone fa sì che il governo di fatto di questi nuovi assemblaggi giuridico-economici sia del tutto delegato a organismi privati, le cui nuove costituzioni sono i piani d’investimento.
Nel Gujarat la quota del salario sul reddito complessivo è la più bassa dell’India e l’uso di lavoratori temporanei è tra i più alti, e nel 2011 lo stato fu censito come il peggiore dal punto di vista della conflittualità sul lavoro. Ciò non scoraggia tuttavia le imprese a puntare sul suo modello di crescita escludente, che è anzi ritenuto tra i più business friendly del paese. Qui si è trasferita la Tata dopo la rivolta di Singur in Bengala Occidentale, qui la Maruti Suzuki è pronta a trasferire gli impianti di Gurgoan-Manesar, in Haryana, teatro di un aspro conflitto operaio (vedi il manifesto 27/10/2012).
Da un recente sondaggio svolto in India tra cento top Ceo è emerso che 74 di questi preferiscono Modi a Rahul Gandhi. Il giornale economico Business Standard spiega questa sproporzione con il fatto che gli uomini d’affari vedono gli effetti della paralisi politica e associano Modi con il dinamismo del Gujarat.
Questa sintonia non è del resto una novità: di fronte a 120 Ceo riuniti a Mumbai pochi mesi fa, Modi ha promesso di decentralizzare la produzione energetica, leggi sul lavoro flessibili e un’agenda per lo sviluppo sostenuta dalla governance. Anche la recente crisi della rupia, moneta nazionale, e il rallentamento della crescita sono visti nei circoli economici come la necessità di cambiare passo e avere un governo saldamente dalla loro parte. Di fronte a ciò, i dati riguardanti la scolarizzazione, la salute pubblica e la povertà, che mostrano come nel Gujarat vi siano gli stessi problemi di altri stati indiani, al momento non riscuotono molta attenzione.

Potere personale assoluto

È impossibile prevedere oggi come andranno le elezioni del prossimo anno. L’impressione d’ineluttabilità che accompagna l’ascesa di Modi ha portato tuttavia alcuni commentatori a evocare Indira Gandhi, capace di esercitare sul subcontinente un potere personale assoluto. Una prospettiva che inizia ad agitare i sonni anche di chi pensava possibile mantenere un equilibrio moderato nella gestione della crescita indiana, riservando il pugno di ferro alla resistenza armata della guerriglia maoista. Dopotutto, una delle accuse che si possono muovere a Modi è di aver estremizzato una linea politica portata avanti ormai da anni su scala nazionale, mostrandosi al passo con i tempi e promettendo ai giovani della classe media in ascesa opportunità di crescita. Per contrastarlo sarebbe necessaria una capacità politica che al momento non ha né il Congresso, né i partiti alla sua sinistra.
La vera opposizione andrà tuttavia cercata altrove, superando il confine politico tra i movimenti rurali e l’insubordinazione operaia che accompagnano la recente industrializzazione e la crescita delle città indiane. Se Modi può proporsi come eroe popolare antipolitico e anticorruzione, infatti, è perché è già un eroe del capitale.

(La versione integrale di questo articolo è disponibile sul sito connessioniprecarie.org)