Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… ed è pieno di plastica! Così potremmo sintetizzare il dibattito politico di questi giorni sulla cosiddetta plastic tax.

Dopo essere stato argomento per ambientalisti, ricercatori e addetti ai lavori, da qualche anno l’abbandono della plastica in mare è arrivato al grande pubblico tanto da finire per interessare anche la politica italiana. Di fronte alle immagini degli accumuli di plastica negli oceani grandi come stati tutti si sono indignati, promettendo soluzioni. Ma appena si passa dalle parole ai fatti, iniziano i distinguo, le difese di interessi particolari, gli inviti a soprassedere in attesa di momenti più propizi, lontano dalle elezioni.

E COSI’ ANCHE UNA NORMA, per la verità piuttosto blanda, finalizzata a disincentivare l’utilizzo della plastica facendo leva sull’aspetto economico, diventa un problema e chi la propone è oggetto di attacchi da parte di Confindustria, opposizioni e compagni di governo. Eppure la situazione è talmente drammatica (cfr. il dossier Fermiamo l’inquinamento da plastica, WWF Italia, 2019) che imporrebbe scelte più drastiche da adottare all’unanimità.

ESSENDO IL MAGGIOR PRODUTTORE di manufatti in plastica dell’area mediterranea, l’Italia ha enormi responsabilità nell’inquinamento legato a questo materiale, ma, avendo una delle maggiori estensioni costiere, è anche tra quei Paesi che più ne subiscono gli impatti. Produciamo ogni anno 8 milioni di tonnellate di manufatti in plastica (+7% dal 2012 al 2017): 4,1 milioni li utilizziamo e 3,9 diventano rifiuti, di questi ultimi ne raccogliamo 3,4 perché mezzo milione lo buttiamo direttamente in natura (ogni italiano disperde in fiumi, mare o discariche abusive 7.38 kg di plastica l’anno). Di quelli raccolti, solo 1 milione di tonnellate viene avviato a riciclo, il resto si distribuisce tra inceneritori e discariche autorizzate. Un enorme spreco di energia e risorse: il consumo italiano di plastica comporta l’utilizzo dell’equivalente di 104 milioni di barili di petrolio per l’energia usata per la produzione e l’emissione di 46.3 milioni di tonnellate di CO2. Se si recuperasse di più si avvantaggerebbe tutto il sistema, considerato che l’Italia ha la più grande industria di riciclo di plastica del Mediterraneo e che con l’attuale tasso di riciclo già si evita l’emissione di 750.000 tonnellate di CO2.

IL 42% DEI MANUFATTI PLASTICI provengono dall’industria degli imballaggi che, avendo vita breve, determinano l’80% dei rifiuti plastici prodotti. Settori come costruzioni e trasporti si attestano al 21% della produzione, ma generano solo il 2% dei rifiuti perché utilizzati molto più a lungo.
La raccolta differenziata negli ultimi anni è cresciuta, ma non quanto avrebbe dovuto. Permane un forte divario tra nord e sud con una serie di regioni come Sicilia, Molise, Calabria e Puglia dove meno di un terzo dei rifiuti urbani viene separato e gestito. Gli stessi obiettivi fissati per l’Italia dal Piano d’azione dell’Unione Europea per l’economia circolare, 50% al 2025 e 55% al 2030, sono poco ambiziosi e richiedono un incremento del 2% anno, addirittura inferiore a quello registrato negli ultimi anni (4%). Peraltro il sistema della responsabilità estesa del produttore, per cui produttori e utilizzatori sono responsabili della gestione ecologica dei rifiuti, è applicato solo agli imballaggi lasciando fuori il 58% della plastica prodotta.
E i rifiuti che non entrano nella raccolta differenziata hanno maggiori possibilità di finire abbandonati in natura. Il mare è il destino finale di ben 53 mila tonnellate di plastica ogni anno: il 4% vi arriva dai fiumi (1.350 tonnellate dal Po e 600 dal Tevere), il 18% da attività in mare come pesca, acquacoltura e navigazione, il 78% da attività costiere non condotte correttamente per la gestione dei rifiuti. Una volta arrivati al mare i nostri rifiuti in plastica viaggiano anche per 10 anni spinti da venti e correnti: uno studio del 2018 ha rilevato che nelle acque italiane si registra una concentrazione di plastica galleggiante tra le più alte del Mediterraneo con oltre 20 g per metro cubo nell’Adriatico settentrionale.

E DAL MARE QUESTI RIFIUTI TORNANO in gran parte (80%) sulle nostre coste. Si è calcolato che le coste italiane, tra le più lunghe ed esposte del Mar Mediterraneo, ricevono una media giornaliera di 5,3 kg di rifiuti plastici per km. Una parte finisce invece sui fondali marini ed è una fortuna che le quantità affondate siano inferiori a quelle che rimangono in superficie perché sono praticamente irrecuperabili.

Lo stesso turismo, fondamentale per il nostro PIL, ha effetti negativi a causa dell’errata gestione dei rifiuti. In Italia il 60% del flusso turistico è concentrato tra giugno e agosto: durante questi mesi, in alcune località balneari i turisti sono 4 o 5 volte i residenti con conseguente aumento della produzione di rifiuti (ad agosto fino al 31% in più). E che dire poi dell’impatto economico di tutto questo inquinamento? La sporcizia, i costi di pulizia e bonifica, i danni agli attrezzi da pesca e ai motori delle barche, il tempo perso a liberare le reti dalla plastica, la contaminazione da microplastiche nel pescato… milioni di euro per la blue economy italiana, la terza in Europa.

A FRONTE DI QUESTO QUADRO drammatico, appaiono desolanti le posizioni di chi si è opposto a una tassa che inciderebbe di pochi centesimi su prodotti che i consumatori dovrebbero cercare di evitare e i produttori dovrebbero ripensare per essere competitivi in un mercato che dovrà comunque cambiare. E invece in tanti in questi giorni sono partiti a testa bassa contro un primo, insufficiente, migliorabile, tentativo di fare qualcosa di concreto. Ricordiamocelo quest’estate quando le bottigliette ci faranno compagnia nelle passeggiate in riva al mare…