«Trent’anni di errori», «sottomissione all’egemonia del pensiero liberista»: sono affermazioni di Goffredo Bettini, uno degli attori certo non secondari di quei non gloriosi trent’anni. Non è il caso, nell’ambito di una recensione, di soffermarsi sugli aspetti politici di constatazioni che, se fossero davvero passibili di pratiche conseguenze, aprirebbero nuovi scenari a sinistra.

DATO, PERÒ, che, dal punto di vista culturale, i protagonisti del trentennio di «sottomissione all’egemonia del pensiero liberista», hanno avuto scarsa frequentazione con l’ampia, e spesso di altissimo livello, letteratura critica sul neoliberismo, consiglio loro di partire da un libro che li riguarda proprio da vicino: Critica del liberismo italiano, 1990-2020 (Ebook, Fondazione Feltrinelli)

L’autore, Luca Michelini, insegna «Storia del pensiero economico» e, nella migliore tradizione dell’analitica professionale, coniuga strettamente dimensione storica e dimensione teorica. Storia pregna di teoria e teoria pregna di storia hanno significato, per quasi tutto il Novecento, l’aspetto fondamentale della profonda innovazione dei processi conoscitivi in ambito storico-sociale.

Non si tratta solo di una questione epistemologica interna agli specialismi dei professori, bensì di questione essenziale concernente la capacità di leggere il nostro presente, quei trent’anni, nella logica dei pensieri lunghi.
C’è un nesso evidente tra i processi che hanno portato ad «un tempo senza storia» (Adriano Prosperi), e, contemporaneamente, a scienze sociali che, senza storia, operano solo per pensieri corti.

La stessa storiografia, che pure non poteva certo cancellare la propria ragion d’essere, ha impoverito di non poco il suo spessore euristico. Se leggiamo, ad esempio, gli studi recenti sulla storia d’Italia nella transizione tra XX e XXI secolo, li troviamo, con rare eccezioni, quasi del tutto centrati sugli aspetti politici, molte volte addirittura di cronaca politica. E spesso non ci viene in soccorso nemmeno la storia economica, sempre meno storia e sempre più teoria marginalista retrospettiva. Di qui la riduzione ai minimi termini della possibilità di leggere il presente come storia. E questo, invece, è proprio ciò che ha inteso fare Michelini.

CON I SUOI CONTINUI rimandi tra il presente e il passato delle elaborazioni teoriche prodotte dal liberismo italiano, egli inserisce la cultura economica dominante dell’ultimo trentennio nella ben più lunga prospettiva (oltre un secolo) di storia del pensiero economico. Ciò permette di individuare la specificità dell’attuale fase in cui elementi teorici del liberismo si coagulano nella temperie neoliberista.

Il liberismo storico ha sempre dovuto confrontarsi con le culture economiche critiche. Seppure spesso abbia provato a porsi come l’unica «scienza economica», ha sempre dovuto fare i conti con forti antitesi sia scientifiche che politico-sociali. Ed è proprio la quasi scomparsa di queste ultime che ha permesso, nel «momento attuale», ai lineamenti ideologici di quel pensiero di imporsi sia nelle istituzioni culturali alte, sia, soprattutto, pressoché nell’intero universo degli apparati mediatici.

Il neoliberismo, infatti, a differenza del liberismo storico, è una «razionalità governante», ed il controllo delle istituzioni, nell’accezione ampia del termine, ne è aspetto costitutivo. Le forze politiche che dal 1990 hanno avuto funzioni di governo non potevano che essere componenti di tale «razionalità».

Michelini ricostruisce con molta accuratezza le fonti ed i percorsi che portano all’assunzione convinta, e politicamente partecipata, delle ragioni profonde del neoliberismo sistemico. E questo non solo da parte delle varie «cose» e del Pd, ma anche di settori significativi del mondo sindacale e soprattutto cooperativo. La disamina puntuale del sistema di relazioni tra i suddetti percorsi configura con chiarezza la formazione di una «struttura». La «struttura» è un organismo assai complesso e, a meno di eventi rivoluzionari, ha ritmi molto lenti di mutamento della rete relazionale che le dà forma.

ORA UNA PARTE del Pd proclama di voler rompere con il suo ruolo trentennale di componente della «struttura». Proposito senz’altro lodevole. Ma Bettini si rende conto che cosa comporta prendere sul serio il significato delle sue affermazioni?