Il vento, gli azzurri del mare e del cielo che scolorano uno nell’altro, i porti e i destini incrociati, lo sguardo sul mondo reale attraverso il filtro di avventure un po’ fiabesche, che narrano le gesta di antieroi, molti dei quali contagiati dal virus della solitudine.
Björn Larsson, lo scrittore svedese che ha scelto l’Italia come luogo degli affetti, è il protagonista della 23/ma edizione di Dedica, il festival che si svolgerà a Pordenone dall’11 al 18 marzo. La rassegna, curata dall’Associazione Thesis, proporrà undici appuntamenti tra incontri, musica, teatro e cinema: come il docufilm La vera storia di Björn Larsson, che ricalca uno dei suoi titoli più fortunati, quello che fa tornare in scena il pirata Long John Silver di Stevenson.
Velista e lupo di mare lui stesso, nonostante il successo letterario, non ha mai abbandonato la professione universitaria (insegna letteratura francese). Perché, spiega Larsson, «trasmettere conoscenze è un lavoro gratificante, a tutti livelli, non soltanto all’università. Ma c’è anche un altro motivo: non ho mai voluto dipendere economicamente della mia penna, non mi piaceva correre il rischio di scrivere un libro per fare soldi e non perché lo volessi e ne avessi l’urgenza, senza pensare minimamente al suo eventuale successo commerciale. Infine, va ricordato che scrivere è un mestiere solitario. Gli studenti mi consentono di mantenere una salda presa sulla realtà».

Lei è uno svedese molto «italiano»: oltre alle meraviglie paesaggistiche e culturali, l’Italia è anche affetta da una malattia politica evidente e ciclica: è ingovernabile. Cosa pensa del funzionamento della nostra macchina-paese?
Ci vorrebbero uno o due libri per rispondere in modo preciso a una domanda simile. Però posso dire che ci sono un paio di cose che mi hanno sempre stupito della politica italiana, ancor più da quando ho imparato la lingua e ho potuto leggere i giornali e guardare la tv. La prima è che, paradossalmente, tutto sembra più o meno colorato – o inquinato – dalla politica, senza però che si parli (quasi mai) di quella vera, delle misure da prendere, i programmi o le leggi da adottare. L’altra particolarità è che si discute molto, ma raramente con un vero spirito di ascolto e di possibili compromessi. Perché, per esempio, Renzi, Bersani e D’Alema non si incontrano davanti a una buona bottiglia di vino per chiacchierare fra loro, piuttosto che comunicare tramite i media?

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Il mare, ma soprattutto i personaggi che lo attraversano (pirati, marinai di lungo corso, cenciosi naufraghi, sognatrici che aspettano al molo) sono stati da lei raccontati in maniera fiabesca e avventurosa, trascinando il lettore verso altri mondi. Oggi però quello stesso mare è portatore di nefaste storie di migranti, che lì trovano la morte…
Purtroppo, le tragedie attuali non sono una novità: dimentichiamo troppo facilmente la storia recente. Non molti anni fa, ci sono stati i «boat-people» vietnamiti. E abbiamo già archiviato tutti coloro che sono morti nel mare fra il Marocco e la Spagna, le Canarie. Ovviamente, le guerre hanno aumentato i numeri, ma sarebbe un’illusione pensare che possiamo fermare definitivamente il flusso di migranti. Possiamo (dobbiamo) trovare una maniera umana di gestire le migrazioni, senza stigmatizzare quelli che cercano una vita degna, senza paura. Come individuo, non posso fare molto di più che sostenere chi lavora per accogliere i migranti, dare il mio contributo alla resistenza alla xenofobia e al razzismo. Come scrittore posso, spero, sensibilizzare i miei lettori all’idea che i migranti sono esseri umani come noi, non criminali. Non abbiamo il diritto di respingerli senza ascoltare cosa hanno da raccontare.

In più occasioni ha confessato che in realtà lei, prima di navigare, voleva esplorare le profondità della terra. Cosa è accaduto che le ha fatto cambiare prospettiva?
Non ho veramente lasciato la terra per andare sul mare. Quello che è successo, intorno ai sedici – diciassette anni, al mio ritorno dopo un anno negli Stati Uniti, è che ho scoperto di non avere la necessaria mente matematica per diventare geologo o speleologo, che è stata per molti anni la mia passione (e che rimane tale, insieme all’astronomia). Ho cambiato strada scegliendo la filosofia, le lingue e la letteratura. Ma l’opzione letteraria non ha avuto a che fare con il desiderio di scoprire il mondo su una barca a vela, è stata il prolungamento della mia attività di subacqueo, che praticavo da quando avevo tredici anni.

Perché, qualche anno fa, ha sentito l’esigenza di invitare il lettore nel laboratorio intimo della scrittura, di svelare i segreti del mestiere nel libro «Diario di bordo di uno scrittore?»
Quel libro era un omaggio: da un lato al mio editore, Iperborea, per il suo 25/mo anniversario e, dall’altro ai miei fedeli lettori in Italia. Infatti, esiste solo in questa lingua! Diario di bordo di uno scrittore è stato anche una risposta collettiva alle lettere e ai messaggi amichevoli che ho ricevuto dai lettori italiani dopo l’uscita di La vera storia del pirata Long John Silver, quasi venti anni fa. Rispondo sempre – con un po’ di ritardo – a tutte le lettere, ma non ho il tempo necessario per farlo bene. Forse, potrà servire pure a quelli che sognano di diventare scrittori. Può essere utile per spiegare che fare quel mestiere non significa «pubblicare un libro o due», ma avere qualcosa di importante da dire che non sia già stato detto. E anche per ribadire che scrivere è un lavoro impegnativo, non un mezzo per parlare di sé.

Dai racconti «Splitter» ai suoi ultimi romanzi, cosa è maggiormente cambiato nel suo stile?
È molto difficile per l’autore avere uno sguardo oggettivo sulla propria opera. Ho sempre cercato di scrivere libri differenti, ho una paura tremenda di ripetermi. Così ogni romanzo diventa un’avventura e un viaggio verso l’ignoto. Bisogna poi saper trovare una forma nuova per esprimere – anche esteticamente – il tema profondo che pervade il romanzo.
Ddirei che questa mia esigenza non è cambiata. Invece, purtroppo, è mutata l’innocenza che avevo all’inizio, quando scrivevo senza avere garanzie del risultato o di essere pubblicato. La vera storia del pirata, all’epoca, fu rifiutato dal mio editore svedese. Ora avverto una certa pressione, non da parte degli editori, ma da me stesso. Non voglio deludere i lettori che mi hanno seguito fino a oggi.

Alla fine anche lei si è consegnato al celebre «giallo svedese» («I poeti morti non scrivono gialli»). O forse il suo libro è un’ironica ricognizione sul mercato editoriale?
La verità è che questo romanzo è nato per scherzo. Mi chiedevo chi ancora non fosse stato ucciso in un giallo svedese, e ho trovato il poeta. Mi sono lanciato nella sfida, non di fare un giallo come tanti altri ma di far leggere qualche bel verso ai lettori di quel genere, parlare loro di poesia, per ricordare che la letteratura non è soltanto divertimento e suspense. Ho anche voluto rompere con lo stereotipo del giallo svedese, aggiungendovi un po’ di ironia, un ingrediente che Camilleri conosce molto bene.