Un weekend da 103 milioni di dollari sembrerebbe l’antitesi di un tonfo al botteghino. Ma, evidentemente, non quando si parla di Star Wars. L’ultimo capitolo della saga stellare ideata da George Lucas, la storia delle origini di Han Solo, arrivato nelle sale di quasi tutto il mondo la settimana scorsa, è già stato bollato un fallimento – dopo aver incassato oltre cento milioni in USA e quasi settanta all’estero. «La Forza non lo accompagna. Il Millennium Falcon non è riuscito nel decollo», scrive il settimanale «New York». Il risultato finanziario peggiore nella storia di Star Wars, conclude «Variety», anticipando che la Disney non rientrerà dei suoi costi se non con l’homevideo.

 

 

Dall’ oltreoceano, l’inglese «Guardian» fornisce ricette per migliorare la salute della Galassia.Cattiva stampa nei mesi che hanno preceduto l’uscita del film, dovuta alle vicissitudini della sua lavorazione, iperaffollamento dei multiplex (dove Solo: A Star Wars Story deve fare i conti con Deadpool 2 e Avengers: Infinity War), un errore di stagione (Natale sarebbe la stagione di Star Wars, non l’estate), un boicottaggio dei fan nei confronti delle pratiche interventiste della produttrice Kathleen Kennedy, persino l’idea che, diversamente dal Marvel Universe, quello di Guerre stellari vada centellinato con cura (tra il 1977 e il 2005 erano usciti solo sei film. Dal 2015 a oggi, la Disney ne ha sfornati quattro, di cui due negli ultimi sei mesi)…

 

Che i fan siano stanchi? In effetti, Star Wars potrebbe non funzionare nell’ottica della serialità spensierata, abbondante, venata di commedia che Kevin Feige ha impresso alla Marvel. E non sfugge la contrapposizione tra il successo di Infinity War (che dall’uscita lo scorso 27 aprile ha incassato oltre 630 milioni negli States, quasi un miliardo e 300.000 calcolando il mercato estero) e di Deadpool 2 (in sala dal 18 maggio: circa 500 milioni di incasso in tutto il mondo) mentre Solo – che è indubbiamente un film migliore degli altri due – zoppica un po’. Oltre che migliore, il film di Ron Howard è anche più innocente, meno autoreferenziale. In particolare, rispetto a Deapool 2, la punta più sarcastica, autodistruttiva, ammiccante delle varie declinazioni degli X Men (ancora di proprietà Fox, anche se potenzialmente potrebbero presto essere inglobati da Disney).

 

Un film parlatissimo, sporco di fattura, visivamente sciatto, più cinico che romanticamente tragico (la tonalità che la presenza di Bryan Singer ha impresso sulla franchise X-Men) basato sulla decostruzione stessa dell’idea del supereore -al punto che Deadpool/Wade Wilson/Ryan Reynolds, con il suo voice over logorroico, sembra costantemente rivolgersi al pubblico. Rompendo il cosiddetto terzo muro, che separa lo spettatore dal mondo del film.

 

Anche in questo capitolo due delle avventure dello sfigurato Wade Wilson, in un certo senso ancora più nero e macabro del primo, il melodramma è tradotto in barzelletta. Il dolore fisico azzerato al punto da sembrare un cartone animato. Senza però l’irriverenza che caratterizza i Looney Tunes.

 

Quello che distingue Guerre stellari, specialmente nella sua accezione originale lucasiana e in questo Solo, diretto da Ron Howard e scritto da Lawrence Kasdan, generazionalmente più vicini al 1977, dallo spirito di Deadpool 2, è il rifiuto di quella dimensione cinica, della battuta dosata al computer per «acchiappare» ogni generazione, della volgarità di un cinema d’azione «furbo», falsamente demistificatorio, che sacrifica l’eleganza visiva e la gioia del racconto d’immaginazione alla tirannia di una cultura superficiale, annoiata, aggressiva, venale e assorta in se stessa come quella che caratterizza il nostro presente.
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