Il gesto-cinema di Terrence Malick si fonde con il suo vedere. Come in un sortilegio sinestetico lo sguardo di Malick s’inebria di una vertiginosa libertà – come in volo a planare – e s’immerge nelle abissali superfici del sentire. Con To the Wonder il cinema malickiano abbraccia una libertà inaudita, ancor più sconcertante che in The Tree of Life. Il pensiero del cinema diventa immagine e questa, a sua volta, di nuovo immagine, come in un maelstrom senza principio e senza fine, dove il film è sempre la passione inarrestabile di un durante, di un momento di passaggio, dove ogni elemento s’intreccia al successivo, come nel più folle corteggiamento di una libertà indicibile. I giorni del cielo, separati solo da una sottile linea rossa, sono sempre tra noi, che c’illudiamo di vedere nel «mondo nuovo». L’incipit stesso di To the Wonder, un aggancio brusco, alla stregua di un nastro strappato che riprende a scorrere all’improvviso, come attivato dal desiderio di chi guarda, è un irresistibile azzeramento del dettame normativo del «fare cinema» contemporaneo, come se il regista, rossellinianamente, si fosse finalmente liberato dell’ingombro della macchina e dei suoi effetti, per ritrovare il cinema, quello delle origini proprio; come un uomo con la macchina da presa che si ritrovi ad occhi spalancati all’alba della Creazione.
Non c’è mai statica e sterile contemplazione estetizzante nel film di Malick (altro che new age!). Tutto si muove, come seguendo la danza degli atomi che compongono i corpi e l’ambiente nel quale sono calati. In un montaggio associativo, absolutely free, Malick è come se si situasse alla fine di The Tree of Life per cogliere il momento in cui tutto ritorna alla vita. Di nuovo. To the Wonder è un Europa 51 mutante di dimensioni cosmiche. Raramente il mal di vivere è stato colto con tanta precisione e passione solidale. Radiografia della malattia mortale del mondo contemporaneo che ha disimparato a vedere e a sentire, To the Wonder osa pensare un cinema «ingenuo», bambino, che parla ad altezza d’occhi con il mondo. Ai margini dell’inquadratura non è difficile immaginare la benevolenza di Walt Whitman che accarezza il capo di questo suo discepolo con la macchina da presa. Malick, ancora, come il viaggiatore mentale di William Blake, dimora tra gli uomini, anche se l’alta musica delle sfere lo fa ruotare su stesso e intorno ai suoi simili come uno sciamano.
To the Wonder è un racconto delle origini e come tale riporta il cinema stesso in una dimensione dove sia possibile rivedere «le gemme dell’anima umana/i rubini e le perle d’occhio infermo d’amore» (William Blake, Il viaggiatore mentale nella traduzione di Giuseppe Ungaretti). Nella storia di un uomo teso fra due donne e di un sacerdote che non è più in grado di decifrare il silenzio di Dio, Malick sfida con folle e olimpica lucidità il «ridicolo» nel tentativo di ricreare un’esperienza filmica che vada di là dei limiti stessi del dispositivo di riproduzione. Ascoltare il mondo, infrangendo le barriere del mezzo e delle sue regole, per ritrovare se stesso come puro gesto di un pensiero in azione nel mondo, oggi.

Come la musica cosmica di Gram Parsons, To the Wonder è profondamente ancorato alla terra degli Stati uniti ed è da questa scelta di campo, essere in un luogo, qui e ora, che sgorga tutta la potenza delle immagini che si muovono instancabili recando con sé l’eco lontana delle voci dei protagonisti che s’intrecciano come in una partitura di musica concreta. Il film, infatti, è attraversato da una cifra inconfondibilmente roots talmente forte che sembra tornare indietro addirittura indietro al momento della fondazione stessa del «Grande Paese». Malick, come Gram Parsons, invoca il Signore affinché gli conceda la «visione» nell’ora del bisogno (In My Hour of Darkness). Malick cala la cristallina armonia cosmica di Parsons – nelle panoramiche e le (semi)soggettive di To the Wonder: un tentativo di spingersi oltre la linea dell’orizzonte, come se il mondo non fosse abbastanza vasto per perdercisi dentro. To the Wonder ci ricorda, con E. E. Cummings, che «twilight is Light» (il crepuscolo è Luce).