Si chiama Sascha W, 34 anni, «il supporto logistico» della cellula di Parigi. E’ stato arrestato ieri dalla polizia tedesca a Magstadt su mandato della procuratore del Baden-Württemberg con l’accusa di traffico internazionale di armi da guerra. Le stesse utilizzate nel massacro di Parigi secondo Bild che pubblica la notizia insieme ai dettagli dell’operazione condotta con le teste di cuoio.

Il «sospettato» – già schedato dalle autorità in passato – è accusato di aver venduto on-line il 7 novembre due Kalashnikov di fabbricazione cinese e due Zastava M70 yugoslave agli «arabi di Parigi»; gli investigatori francesi sarebbero convinti che si tratti esattamente delle armi che hanno provocato la carneficina sei giorni più tardi, rivela il quotidiano al pari del ritrovamento di 15 fucili dopo la perquisizione a casa del trafficante.

L’arresto fa il paio con i blitz delle unità speciali della polizia federale effettuati anche a Berlino. Perquisizioni soprattutto nelle moschee e nei centri islamici dove ieri sono stati fermati un tunisino e un siriano «connessi» alla galassia dell’estremismo sunnita nella capitale; gli investigatori ipotizzano la preparazione di un attacco in una città nell’ovest della Germania. Non più segnalazioni dunque, ma «allarmi veri» conferma la polizia che dopo la bomba allo stadio di Hannover (mai ritrovata) respira lo stato di guerra che si manifesta anche ai berlinesi nel quartiere di Charlottemburg, con venti edifici sgomberati a causa di una sospetta auto-bomba collegata agli arrestati.

Una vera e propria «dark-net» messa sempre più sotto pressione e controllo dalle autorità mentre si moltiplicano i possibili obiettivi di ritorsione in vista del prolungamento dell’impegno della Bundeswehr in Mali annunciato dalla ministra della difesa Ursula von der Leyen. Sul tavolo della coalizione rosso-nera l’invio di nuovi soldati in appoggio (e progressiva sostituzione) delle truppe francesi in Africa, in attuazione di un piano messo in piedi due anni fa.

Uno sforzo bellico rinnovato ma non nuovo, perché la Germania fa la guerra in Mali ufficialmente da quasi tre anni. Il 28 febbraio 2013 il Bundestag ha incaricato per la prima volta il dispiegamento di soldati tedeschi nelle file della European union training mission per la formazione delle forze armate locali. Il mandato è stato prorogato fino al 31 maggio 2016 con l’impiego di 350 soldati inquadrati in una brigata mista franco-tedesca. L’obiettivo dichiarato è la vietnamizzazione del conflitto: «L’esercito maliano deve essere in grado di stabilizzare il paese sotto la propria responsabilità» spiegano i generali della Bundeswehr che non dovranno più occuparsi solo di difesa.

All’orizzonte anche del Parlamento si profila la possibile partecipazione diretta al conflitto in Siria con un appoggio ben più sostanzioso degli attuali ospedali di campo che prevede anche l’impiego dei vecchi Tornado. Dal punto di vista operativo Luftwaffe e Marine sono già in missione con il coordinamento della portaerei francese Charles De Gaulle e il prestito degli aerei cisterna. Una parte troppo attiva nella «guerra civile» siriana, secondo la Linke che si oppone ai piani di guerra tedeschi in Medio Oriente.

«Siamo contrari alla partecipazione della Bundeswehr in Siria. Sarebbe un’operazione senza obiettivi riconoscibili e fini prevedibili. Se la Germania verrà coinvolta crescerà la minaccia di attacchi terroristici nel Paese» riassumono nel quartier generale della Sinistra al Bundestag. Il problema, casomai, è la Turchia alleata soprattutto della cancelliera Angela Merkel che conta (anche) su Erdogan per fermare l’ondata di profughi che travolge la Repubblica federale. Per la Linke «il governo di Ankara è focalizzato sulla guerra contro il Pkk e del Pyd che in Siria e Iraq si difendono contro lo Stato islamico. Qui la Germania ha possibilità di influenza: deve dire, chiaramente, alla Turchia di fermare gli attacchi ai curdi».