Nel parco delle colline di Verona c’è un bosco disordinato e fitto, e lì vicino c’è una casa che ha un confine invisibile tra il muro dell’ultima stanza e gli alberi. La stanza è quasi vuota, essenziale, per favorire il passaggio dei contenuti splendenti e misteriosi. Una scrivania digrada verso la grande quercia. Dalla finestra è possibile vedere la terra umida coperta di foglie in autunno e di violette bianche in primavera e la vegetazione che d’estate non permette al sole nessuna invadenza.

Si può stare al riparo, protetti. È il luogo inconsapevole di un’iniziazione selvatica.

Il cielo è parziale, mediato dalla chioma degli alberi eppure del tutto raggiungibile con lo sguardo, il bosco lo svela solo in parte ma sembra avere lì il suo principio. Qualcuno con i rami ha costruito una capanna, sulla soglia sono appesi una pietra a forma di vertebra, un sasso arancione e una lanterna. Somiglia alla tenda di un indiano, la casa delle presenze vive della collina. Il rifugio di una bambina che è cresciuta accanto a un bosco. Un giorno abbiamo visto delle rane. E poi molte volpi. Abbiamo incrociato spesso lo sguardo di traverso, immobile, dei daini metafisici e indifesi. Immerso nell’ombra, su un tronco d’albero tagliato, è seduto da sempre un sasso a forma di orso, è il guardiano del sentiero. A volte il sasso rotola lungo il viottolo e si ferma accanto a noi. La sera, spostandosi appena vicino ai rovi di more, si possono vedere le costellazioni. Un fitto di stelle, e ovunque la Via Lattea. In inverno desideriamo tutto il tempo che nevichi. Si può fare legna e scaldarsi davanti al fuoco, tra la casa e il bosco, attraverso il confine invisibile e marginale dei muri, un albero sta, mentre i suoi rami bruciano alimentando una fiamma altissima, il fumo esce dal camino e torna nel bosco.

La strada a tornanti che porta a casa è percorsa di continuo, a piedi o in bicicletta, dagli ospiti del centro di accoglienza per i profughi. Sul porta pacchi trasportano la spesa, una radio, valigie enormi, scatole che contengono videocassette, una scopa, alcuni schedari che non si chiudono più. Gli oggetti che abbiamo abbandonato. Gli abitanti del parco delle colline, da quando il centro di accoglienza è stato aperto, hanno avuto a lungo paura di essere derubati, una paura talvolta crudele; temevano che le loro case perdessero valore. Nelle cucine dei ristoranti da qualche tempo si possono incontrare alcuni ragazzi del Bangladesh, del Senegal, del Mali. Gli abitanti del parco delle colline hanno osservato pieni di stupore i nuovi assunti arrivare con molte ore di anticipo, a ristorante ancora chiuso, e uscire dalla cucina con molte ore di ritardo, e di nascosto si sono commossi. Una minuscola resa all’amore.

Poco prima del centro c’è una scuola, la piccola scuola libertaria Kether. Alcuni bambini arrivano a conoscere il bosco estenuati, elettrici. Lo attraversano ogni giorno, per molti mesi, insieme ai maestri, lo fanno anche quando nevica o piove. Scavalcando i rovi, ripulendo il sentiero, mettendo alla prova la forza delle gambe, ritrovano anche quella dimenticata della loro vocazione, la forza che era scomparsa di paura. È l’iniziazione della natura, il tempo finalmente percorre la sua durata in assenza di accelerazione. Chissà cosa accade davvero nel bosco disordinato e fitto di querce e frassini, nessuno l’ha mai scoperto. Ma non è detto che il senso di un accadimento sia l’aspetto più importante di quell’accadimento. I bambini possono finalmente stare in silenzio e smettere di cercare qualcosa di sorprendente da dire, la sorpresa è tutta intorno. Così dimenticano di spingere il compagno, di ridere di lui se legge piano, perché nessuno si sogna di elogiare solo i bambini che sanno svolgere le espressioni più in fretta di tutti. La fretta è un pregio o un difetto, a seconda del tempo. Ricordano invece come riconoscere le virtù magiche della natura, e gli alberi non sono più solo alberi e le persone non sono più solo persone. Vicino a loro, nelle case prefabbricate, finalmente al riparo, spaesati, vivono gli uomini che da millenni conoscono la forza smisurata di una quercia. Persone puntuali che non avevano mai visto la neve.