Se l’alta poesia talune volte può sembrare inaccessibile e se gli ibridismi di letteratura e musica vengono visti con sospetto dagli addetti ai lavori – specialmente dal fronte delle lettere –, il consiglio vivissimo, sia a chi ha letto e a chi non ne sa nulla di T. S. Eliot, è di ascoltare i Quattro Quartetti nella trasposizione di Emidio Clementi (voce) e Corrado Nuccini (musica). Vinile e cd usciti per 42 Records (vengono presentati venerdì 19 alle 21 al salone del libro di Torino, Festa Mobile Salone Off) ma con l’anima nello spettacolo/reading di un testo, quello di Eliot, considerato un «intraducibile» e ripreso da Clementi dalla versione tradotta da Donini per Garzanti del ’94.

Ci sono simmetrie con l’album Notturno Americano che il duo (con Emanuele Reverberi) aveva rivolto a Emanuel Carnevali, anche se in quest’ultimo disco c’è più elettronica, accenni all’oriente, meno chitarra. Un dialogo fra musica e letteratura che, per chi come Clementi è scrittore e musicista, si muove dietro un criterio specifico: «Sicuramente il ritmo delle parole che riesce a dialogare con la musica. Il ritmo credo preceda addirittura il senso, perciò ho scelto quella traduzione che pone al primo posto la musicalità del testo. Poi Corrado è stato bravissimo nel creare dei paesaggi differenti anche se qualcuno mi ha fatto notare di aver scelto una strada troppo drammatica per Eliot, pure se non mi sembra che Eliot sia esattamente un inno alla vita…». Da questo lavoro si può percepire come le atmosfere dei Massimo Volume siano state influenzate da Eliot. Il risultato più di un album di canzoni o una lettura si potrebbe chiamare un’opera del verso: «È un libro di riferimento su cui sono ritornato spesso quando dovevo scrivere per i Massimo Volume, per ritrovare la mia voce, il mio ritmo e in fin dei conti il mio testo».

Alcuni dei temi del poeta statunitense sono il tempo e il valore quasi religioso delle parole. Ogni quartetto prende ispirazione da un luogo e da una stagione e raggiunge una metafisica dell’umano sempre attuale: «A suo tempo i critici lo legarono a quel momento storico in cui c’era la guerra, Eliot però precisò che si rivolgeva all’umanità in senso più ampio. Credo sia la sua cifra stilistica per cui è ancora attuale oggi giacché, come vent’anni fa o quando scriveva Eliot, la società è in crisi. Purtroppo e per fortuna mi viene da dire, in questi momenti è dove si creano le opere d’arte. Il doppio filo del tempo ordinario, la quotidianità, e poi questi squarci, è qualcosa che uno sente o che ricerca nell’arte. Ciò mi sembra un tema attuale ma anche assoluto». Per Eliot il poeta era il «miglior fabbro del linguaggio: «Certe volte pare però che tocchi ai musicisti far conoscere la poesia.

L’impatto di certi lavori musicati è molto più intenso che le parole nude di un poeta, meno vate e forse troppo settario: «È un discorso molto scivoloso, mi sembra che la poesia sia chiusa su se stessa, un genere per addetti ai lavori. La nostra ambizione è di farla ascoltare a chi non l’ha mai letta facendogli scoprire la forza di uno scrittore accademico come Eliot che però riesce a dialogare col pubblico. La poesia è nata con la musica e l’essere comunicativi non è un difetto. Il pubblico musicale non è necessariamente di addetti ai lavori ed è stimolante, puoi vincere o puoi perdere se non riesci a catturare la concentrazione degli altri. Il pubblico letterario tende a respingerci un po’ di più».