Leutnant Voss, un linguista arruolato nell’esercito del Terzo Reich, spiega all’ufficiale delle SS, l’hauptsturmbannführer Aue, la complessità degli oltre 50 idiomi parlati nella regione del Caucaso. Il loro dialogo si svolge su due differenti schermi ai lati della scena, sono proiezioni che dettano la cornice teorica di un discorso su lingua e potere, la caccia come sistema di sterminio dell’uomo e la Shoa così come li racconta la compagnia Anagoor nel suo L.I. | Lingua Imperii (regia Simone Derai che firma anche la drammaturgia con Patrizia Vercesi), andato in scena giovedì al Napoli Teatro Festival Italia.

Cinquanta idiomi che individuano comunità, popolazioni che creano ponti tra loro grazie anche alla permeabilità della lingua. È il linguista che spiega come i sovietici abbiano codificato per ogni ceppo all’interno del sistema delle repubbliche socialiste una forma scritta basata sul cirillico, differente per ognuna: una volta separati, e quindi irriconoscibili gli uni agli altri, sono stati riconnessi attraverso l’unica forma di comunicazione comune, il russo, lingua imperii. Il controllo e il dominio ma prima ancora l’invasione e la conquista.

Dal Caucaso del 1942 sugli schermi lo spettatore viene precipitato sulla scena: gli attori tornano al mito di Ifigenia, trasformata in un animale sacrificale per propiziare il viaggio alla conquista di Troia. Il rito e le regole della caccia, presenti persino nelle storie edificanti dei santi, rendono socialmente praticabile l’eccidio, a Srebrenica come in Armenia.
In scena le armonie vocali vengono attraversate dalle sonorità elettroniche fino ad aprirsi a due splendidi canti tradizionali armeni interpretati da Gayanée Movsisyan. Agli attori la rappresentazione della Shoa: il dominio assoluto esercitato attraverso il comando, la preparazione al sacrificio e il suo rifiuto, la mattanza. Sullo schermo grande, sul fondo della scena, i volti diventano proiezioni di ritratti, il viso sfigurato da finimenti come fossero cavalli, per poi cedere il passo a pecore, cervi senza controllo sul proprio destino.

Il materiale teorico che sorregge la scrittura scenica è densissimo, tratto da Jonathan Littell, Winfried Georg Sebald, Primo Levi, fino al saggio L.T.I. Lingua Tertii Imperii di Victor Klemperer: «Linguista di Dresda ebreo – spiega Derai -, scrisse diari che sono una documentazione della trasformazione del tedesco, con la comparsa di una lingua nuova, che è quella del Reich: una lingua che impoverisce il tedesco, le sue tradizioni; che urla, che suggerisce parole, le infila nella testa delle persone».