Jacopo Nizzola da Trezzo, medaglia con Filippo II d’Asburgo, 1555, Milano, collezione di Mario Scaglia

 

I secoli più gloriosi della medaglistica, dal primo Quattrocento, con la nascita in Italia settentrionale e in altri centri della Penisola della medaglia all’antica a opera di Pisanello, all’apice settecentesco a Firenze con Massimiliano Soldani: questo l’oggetto dei due volumi, in cofanetto, che illustrano – a firma Lucia Simonato e Giulia Zaccariotto, Silvana Editoriale (con la collaborazione della Fondazione Federico Zeri), pp. 255 + 559 , euro 80,00 – La collezione di medaglie Mario Scaglia, ingegnere milanese collezionista anche di dipinti, sculture e placchette. Tale iniziativa editoriale segue la pubblicazione di un catalogo dedicato a queste ultime (2011) e una mostra antologica tenutasi al Museo Poldi Pezzoli di Milano nel 2007.
Dei due tomi, aperti da efficaci introduzioni di Lucia Simonato e Davide Gasparotto, il primo offre casi studio particolarmente significativi, indagati quasi esclusivamente da giovani studiosi, affondi che spesso prendono spunto da opere della collezione Scaglia; è qui offerta, inoltre, una nuova chiave di lettura del problema critico delle medaglie, opere finora confinate nel campo della numismatica e invece da restituire alla storia della scultura.
Il secondo volume si apre con un corposo saggio della Zaccariotto, in cui la studiosa analizza minuziosamente il fenomeno del collezionismo di medaglie attraverso la raccolta Scaglia, ma fornisce anche al lettore non esperto gli strumenti per muovere i primi passi in un campo pieno di insidie.
Il catalogo analizza con un impianto storico e critico molto solido i 488 pezzi della raccolta, quasi esclusivamente esemplari realizzati attraverso la tecnica della fusione. Non è solo Italia, rappresentata minuziosamente per ogni area geografica di produzione: il catalogo si chiude infatti con un’antologia di medaglie francesi e i loro principali protagonisti, soprattutto Guillaume Dupré, con magnifici esemplari dell’Enrico IV e Maria de’ Medici e del Pierre Jeannin (della stessa dimensione è noto solo un altro esemplare).
La collezione regge il confronto con quelle dei principali musei: i pezzi sono stati accuratamente selezionati da Scaglia a partire dagli anni settanta secondo i criteri della qualità di fusione, della nitidezza del rilievo e delle dimensioni, che nel campo del bronzo hanno una particolare rilevanza, poiché una medaglia per essere antica – e non una replica – non deve essere più piccola rispetto ai migliori esemplari noti.
La qualità delle opere va di pari passo con le loro provenienze, spesso eccellenti: nella raccolta Scaglia sono infatti confluiti oggetti dalle principali collezioni numismatiche formate tra Otto e Novecento, tra cui un nucleo rilevante del medagliere Chigi, già conservato presso il palazzo di Ariccia.
Scaglia nel tempo ha anche costruito una notevole biblioteca di settore ed è diventato esperto e raffinato conoscitore di medaglie, anche grazie al dialogo con importanti studiosi della materia – su tutti John Graham Pollard, autore delle ultime edizioni dei cataloghi di uno dei maggiori medaglieri al mondo, e cioè quello Dreyfus, oggi ospitato presso la National Gallery di Washington.
La ‘milanesità’ di Scaglia è ovviamente all’origine della predilezione per la medaglistica lombarda, ampiamente rappresentata nella stagione della Milano asburgica – durante la quale, oltre alle effigi imperiali, proliferarono i ritratti di milanesi noti e meno noti – ma anche della fase di metà Seicento, con rare opere di Giuseppe Vismara e Cesare Fiori.
Non mancano pezzi unici, quasi tutti resi noti qui per la prima volta, come la medaglia di ambito pisanelliano di Giovan Pietro d’Avenza, addirittura presa come modello da Matteo Civitali per un tondo in marmo nel portico della Cattedrale di Lucca, o quella del poco noto Giuseppe Colombini, uomo di fiducia di Lorenzo il Magnifico – realizzata probabilmente da Adriano Fiorentino quando entrambi si trovavano a Napoli.
Nella raccolta Scaglia il bronzo è ovviamente il protagonista, ma sono presenti anche magnifici pezzi in argento, come la medaglia che omaggia Filippo II d’Asburgo di Jacopo Nizzola da Trezzo, recante sul verso Apollo in cielo su una quadriga.
Concentrandosi sul primo volume si prende atto delle potenzialità che un approfondimento su singole medaglie può offrire proprio per cercare di identificare ritratti dipinti o scolpiti di cui si ignora il sitter. Il rapporto tra il numero di medaglie che raffigurano personaggi attualmente negletti o poco noti e la quantità di ritratti non identificati è impressionante e simili catalogazioni fanno ben sperare che studi futuri possano sfruttare al meglio questo materiale, così da fornire coordinate storiche più sicure a opere in cui l’effigiato è rimasto anonimo.
Come osservato dalla Simonato, le medaglie nel loro rapporto tra parola e immagine sono in grado «di rappresentare una via privilegiata per accostarsi alla storia, oltre che alla storia dell’arte», un punto privilegiato di osservazione, in cui vicende biografiche, avvenimenti grandi e piccoli ed erudizione si intrecciano, offrendo vividi spaccati storici che pochi altri oggetti consentono in maniera così compiuta e puntuale.
E si vorrebbe conoscere perfettamente le circostanze che decretarono la commissione di ogni medaglia e dei sofisticati significati sottesi ai rovesci, talvolta desunti dall’antico e malinconici, di sovente trionfali, onirici e autoreferenziali, spesso sibillini e di una fantasia lambiccata, ma soprattutto dei tour de force allegorici, dove in uno spazio assai limitato gli artisti furono costretti a sfruttare ogni millimetro.
Purtroppo la vastità della collezione e dell’impegno hanno imposto agli autori, nella catalogazione, uno sforzo di sintesi notevole, senza un vero e proprio corpo del testo nelle schede, ma non sarebbe dispiaciuto disporre di un confronto più articolato con le migliori versioni note dei pezzi maggiormente significativi e una discussione iconografica meno succinta. È vero che la ricchissima bibliografia dà pienamente conto dei vari aspetti del dibattito critico ma purtroppo per un non specialista è difficile conoscere quali siano i migliori esemplari antichi e a cosa alludano i rovesci.
Si deve comunque plaudire a questa ambiziosa iniziativa editoriale. Sciaguratamente, infatti, sono sempre più rare simili catalogazioni, in nome di un approccio più interdisciplinare ma non sempre rigoroso, come se la connoisseurship non richiedesse un ampio orizzonte di interessi e competenze quali prerequisiti obbligatori. La catalogazione, da sinonimo di organizzazione del sapere nell’età dei Lumi, è divenuta oggi nel mondo degli studi storico-artistici quasi una parola tabù.
È proprio dalla consapevolezza della necessità di catalogazioni a vasto raggio che si dovrebbe ripartire: dall’iniziativa di Mario Scaglia dovrebbero prendere spunto altri collezionisti italiani e, come loro, anche e soprattutto lo Stato, i cui repertori sono spesso desueti e non aggiornati. La catalogazione quale momento imprescindibile e preventivo per la conoscenza, la difesa e la valorizzazione del nostro patrimonio.