Quando Papa Francesco ha detto che la Madonna è stata la prima influencer della storia, ho capito che eravamo ufficialmente entrati nella promozione da secondo millennio e potevamo dire: «La pubblicità è morta. Viva la pubblicità». Réclame, propaganda o influencer, il modo di vendere le cose, ma anche le idee, ha cambiato nome, ma non la sostanza, con qualche aggravante. La pubblicità tradizionale si vende per quello che è, si sa che paga per reclamizzare prodotti o persone. Gli influencer creano un sistema molto più sottile e subdolo che coopta non acquirenti, ma seguaci.

PRIMA ancora di sollecitare l’acquisto di qualcosa, costruisce ammirazione, stuzzica il desiderio di emulazione, cerca follower fedeli. È l’antitesi della complessità, il «Chi mi ama mi segua» e proprio qui sta il pericolo. Con l’influencer non si chiede più di pensare con la propria testa, ma di adorare e seguire. Come spesso accade, le prime ad accorgersene sono state le aziende. Se da una parte il libero scorrazzare sul web dà la possibilità a illustri sconosciuti di emergere dalla massa, dall’altra ha sdoganato un nuovo business commerciale impadronendosi del fenomeno degli influencer che, da persone che parlano di sé e delle proprie passioni, sono diventati strumenti di promozione corteggiatissimi. Poiché la quantità del seguito fa la differenza, si è creato un mercato delle tariffe in base al numero dei follower. L’addetta alle comunicazioni di un’azienda mi ha raccontato due o tre curiosità. Un’attrice abbastanza nota che vorrebbe costruirsi un mercato sui social, per cominciare è disposta a chiedere un compenso modesto, ovvero cinquemila euro a post. Passando invece all’empireo delle influencer, la più nota delle italiane, ovvero Chiara Ferragni, per tre stories su Instagram avrebbe domandato 65mila euro con beneficio di inventario, ovvero previa analisi del prodotto per capire se le interessa.

ORA, chi pensa che per diventare influencer di peso basti postare qualche selfie sullo sfondo della propria cucina, sbaglia di grosso. Per essere attrattivi dal punto di vista dell’immagine bisogna postare foto studiate in ogni dettaglio, tant’è che le influencer navigate viaggiano con truccatore, parrucchiere e fotografo. Le top delle top hanno anche un segretario e un agente. Ho conosciuto giovani donne che hanno cominciato quasi per scherzo e per un po’ si sono barcamenate fra il loro lavoro di segretaria, insegnante precaria, ricercatrice o mamma e la loro passione per abiti o prodotti di bellezza.

SICCOME erano carine, non sceme e sapevano mettersi in posa, le richieste e gli inviti da parte di aziende sono così aumentati che prima hanno dovuto dotarsi di un commercialista, poi hanno fatto il grande salto diventando influencer di professione. Ora, il problema sta proprio nella natura di questo tipo di promozione. Gli influencer viaggiano sul filo di rasoio dell’inganno sfruttando in modo sottile la buona fede dei follower che hanno iniziato a seguirli non perché consci che fossero testimonial di Caio o Sempronio, ma per altre e svariate ragioni. Spesso giovanissimi, a questi inconsapevoli seguaci non viene mai detto che il loro idolo è pagato per promuovere un profumo, un paio di scarpe, una crema, un albergo e quant’altro, anzi gli viene fatto credere che quella è una libera scelta di vita, di oggetti e di stile. Forse è una bolla che prima o poi scoppierà, ma intanto il fenomeno dell’adorazione impazza. Cari follower, tutti ogni tanto abbiamo bisogno di leggere una favola. L’importante è sapere che trattasi di favola.

mariangela.mianiti@gmail.com