Qualche anno fa la giurista franco-argentina Marcela Iacub pubblicava un volumetto – La fin du couple – in cui sosteneva la necessità e l’urgenza di sbarazzarsi dell’idea di «coppia»: tutta quanta la sequenza giuridica coppia-matrimonio-famiglia appariva, nell’ipotesi di Iacub, all’origine – oltreché di disuguaglianze e violenze – di una spaventosa esplosione di solitudine.

Un rimedio possibile le sembrava quello di rispolverare la «filantropia sessuale» teorizzata da Charles Fourier: sciogliendo il rapporto che annoda sentimento provato e sesso praticato (e pur facendo spazio all’idea di un «diritto al minimo sessuale»), l’utopia fourierista additava nella moltiplicazione delle relazioni, nella contingenza della loro durata, nella variabilità del loro numero, nella fine dunque dell’esclusività sessuale, una possibilità di istituire altrimenti il legame sociale. Elisabetta Grande e Luca Pes si scoprono impliciti alleati di Fourier, ma su un campo, quello del diritto privato, che è, per il bene e per il male, ben lontano dal registro dell’utopia.

NON È UN CASO, quindi, che il volume che hanno recentemente curato (Più cuori e una capanna. Il poliamore come istituzione, Giappichelli, pp. 256, euro 26), frutto di una ricerca avviata all’università del Piemonte Orientale, allinei, nel sottotitolo, l’equivoco e scivoloso tema del «poliamore» a quello dell’«istituzione».

Una formula, eloquente e stringata, che va letta allo stesso tempo come una critica intransigente al diritto privato (e di famiglia) tradizionale e una fiducia nelle sue possibilità di essere altrimenti. In questo senso – e richiamandosi all’ultimo libro di Stefano Rodotà, Diritto d’amore – curatrice e curatore, e insieme con loro le autrici e gli autori dei saggi, sottoscrivono a quel singolare metabolismo che lega le pratiche sociali alla loro messa in forma – alla loro vera e propria «istituzione» – giuridica.

Ma se questo è un proposito generalissimo che ha vigenza universale per ogni giurista appena avvertito degli imbrogli della dogmatica, esso trova nel «poliamore» una sua speciale messa alla prova. Laddove si danno convegno – e si saldano – patriarcato, eteronormatività e rapporto sociale di capitale («coppia», «famiglia», «matrimonio» non sono infatti nient’altro che i nomina iuris di questa alleanza), il diritto privato è chiamato a un’operazione molto delicata: si tratta da un lato di disfare le forme e i concetti che aveva approntato per istituire e ordinare quella materia, e, dall’altro, di immaginarne di nuovi e diversi.

L’IPOTESI ACCOLTA dai saggi raccolti nel volume è quella di una «desessualizzazione» del diritto privato: nel dare forma a una «relazione», a un «rapporto», a un «ménage» dovrebbero risultare irrilevanti – agli occhi del diritto (e solo ai suoi, beninteso) – attività, preferenza e identità sessuale. Il che non vuol dire ovviamente considerare il carattere sessuato dei corpi, l’impasto di desiderio e godimento che li unisce e li separa, come qualcosa di eufemistico, ma al contrario, di radicalmente singolare e intrattabile. Come ha scritto ormai qualche tempo fa Jean-Luc Nancy: «Il rapporto in quanto rapporto, di fatto, non c’è. O meglio: scopare non ha mai luogo come tale, ma sempre altrimenti (il suo presunto come tale è la pornografia, che è la figura – la sola – dell’impossibile come impasse). Scopare ha luogo nell’accesso alla propria impossibilità, o nella propria impossibilità come accesso a ciò che, del rapportar-si, è incommensurabile a ogni rapporto. Ma si scopa».

IL DIRITTO potrà dunque limitarsi a essere l’infrastruttura «sentimentale» dei rapporti, offrendo cioè tutte quante le tecniche capaci di comporre le relazioni fuori dal calco della «coppia» (monogama, etero e orientata – eventualmente tramite prole – all’articolazione di un patrimonio). Svuotato della «sostanza» (il sessuale) – e quindi fondamentalmente esonerato dall’egemonia del concetto di «coppia» – il diritto privato riscopre la potenza delle forme: mezzi e arnesi per istituire lo stare assieme di più d’uno e più d’una (di cui Antonio Vercellone, nel suo saggio, offre una tecnicamente persuasiva carrellata).

Va da sé che questa enunciazione equivale, in termini giuridici, all’apertura di un cantiere formidabile, quello di cui la batteria di saggi allineati nel volume offre un primo sondaggio. Si tratta infatti, e lo mostra da par suo Ugo Mattei, di proporre un approccio che salvi il carattere antisistemico, intanticipabile delle pratiche affettive e sessuali e quello giuridicamente sistematico che permetta di istituirle, ordinarle e trasformarle. Per farlo si tratta di aggredire i fondamenti stessi del diritto privato, il suo carattere cioè, storicamente, patrimoniale: dal lato dell’imputazione e dal lato del rapporto. Il nesso persona-contratto è cioè quel cuore patrimoniale del diritto privato moderno che si tratta di mettere sotto cauzione; ma non già nel falansterio fourieriano, bensì dentro lo stesso canone privatistico che, una volta sovvertito e ricostruito, potrà tornare a essere quello che è stato per molto tempo: un diritto dei privati, un insieme di strumenti utili a dare forma a quello che sentiamo e desideriamo.