Per l’editoria no profit, i giornali editi in cooperativa, quelli di idee e i quotidiani italiani pubblicati all’estero è di nuovo allarme rosso. Capita così da anni, da quando è stato avviato un processo di tagli progressivi ai fondi per i contributi pubblici diretti destinati alle testate di quest’area editoriale. Stavolta l’allarme è acuto perché i fondi originariamente stanziati, e già ritenuti insufficienti al fabbisogno (57 milioni di euro contro una necessità di almeno 90, come nel 2013), sono, allo stato, ulteriormente ridotti per effetto delle misure prese durante l’anno dal governo.

Il sottosegretario all’Editoria, Luca Lotti, si sta dando da fare per garantire almeno le risorse previste in origine e in Parlamento ci sono iniziative per evitare che tantissime testate, elementi portanti del pluralismo dell’informazione sul terreno dei giornali di idee o di presenza territoriale diffusa, pubblicati e destinati anche agli italiani nel mondo, siano costrette a chiudere i battenti il 31 dicembre prossimo.
Sono a rischio un’ottantina di testate. Interi territori rischiano di restare con una voce unica di informazione o con satelliti di organi di stampa di altri territori. Si pone, quindi, una questione democratica, che non si misura con i soli valori del mercato.

L’informazione è un bene pubblico. E laddove non c’è o, se c’è è proposta da sistemi che agiscono in regime di monopolio senza confronto, un pluralismo dimagrito va a beneficio solo di poteri forti. Peggio accade in alcune aree del paese, dove si dimostra sempre di più come un pluralismo vitale sia un primo essenziale presidio di legalità democratica. E poiché il mercato di tutto ciò non si preoccupa, il sistema pubblico non può girarsi dall’altra parte. Bisognava «ripulire» il sistema, in modo che a chiudere fossero solo le imprese fasulle o costruite solo per ottenere, con qualsiasi artifizio o imbroglio contributi pubblici. Ciò è stato fatto.
Il governo, con il sottosegretario Lotti, ha confermato le linee della moralizzazione – con le quali siamo d’accordo e ha operato un primo importante intervento al sostegno dell’occupazione professionale (con sgravi contributivi), e per le «start up» e per il sostegno ai giornalisti che perdono il lavoro o devono lasciarlo in anticipo, a causa della crisi di sistema che colpisce l’industria editoriale (650 posti su 16.900 persi nei primi sei mesi del 2014). Occorre completare il progetto con un piano di intervento coerente con queste linee relativamente alla stampa no profit di idee e per le comunità italiane all’estero.

Un progetto si può fare, però, se si è vivi, non se nel frattempo è stato mandato a morte per assenza di ossigeno. Ridurre di quasi la metà i contributi erogati nell’anno precedente da attribuire su un esercizio che si è chiuso il 31 dicembre del 2013, significa costringere gran parte delle imprese cooperative e no profit a portare i libri in tribunale, non potendo più assicurare un conto sostenibile al budget sul quale avevano realizzato la propria attività.

E per il 2014 – erogazioni programmate per fine 2015 – la previsione è ancora più nera. Cambiare si può e si deve ma occorrono misure di «accompagnamento» e di gradualità perché un sistema complesso e pure vitale, per quanto da riordinare, possa diventare soggetto di innovazione e sviluppo.

* segretario Fnsi