Demodè per scelta ma così ricco di spunti, idee e sorretto da un’orchestrazione elegantissima curata da Lucio Fabbri, il 9 novembre esce L’Infinito, l’ultimo lavoro del professore lombardo che suona come uno schiaffo alla sciatteria di questi tempi moderni (?!). «Come in una scrittura automatica – spiega l’artista milanese – da anni mi ripetevo la stessa cosa: bisogna amare ciò che si vive, non solo la vita in sé, che è un’astrazione, ma gli atti, i gesti, le scelte, gli entusiasmi, i tonfi, i progetti che ci costruisci dentro e amarli incondizionatamente, che siano gioia o dolore, vittoria o sconfitta». E’ nato così un concept album dove Vecchioni parte dall’idea di «infinito» per raccontare il suo personale e allargare i confini al mondo. Nel disco anche un sorprendente duetto con Francesco Guccini in Ti insegnerò a volare, ispirato a Alex Zanardi: «Francesco è per me il più grande cantore della canzone d’autore. Aver convinto a cantare questo orso, che si era ritirato dalla musica, è per me motivo di orgoglio. Lui e Ivano Fossati – afferma Vecchioni – sono i cantautori più colti, più alti, da quando se ne è andato De André».

LO DEFINISCE un disco di resistenza analogica, perché ha scelto di pubblicare il suo nuovo lavoro solo sui supporti cd e vinile, in controtendenza. Non saranno disponibili online neanche i dodici singoli poiché L’Infinito è pensato come concept album. Per una raccolta improntata su forti emozioni e contrastanti sentimenti, sceglie una veste sonora che pesca nella tradizione curata con rigore ma senza pedanteria da uno straordinario quartetto guidato da Lucio Fabbri alle tastiere, Massimo Germini alle chitarre, bouzouki, ukulele, Marco Mangelli al basso e Roberto Gualdi alla batteria. Punte di intenso lirismo in Giulio, dedicata a Regeni immaginato nello sguardo perduto di una madre,  e Cappuccio Rosso, ovvero la passione di Ayse che va a morire contro l’Isis. La conclusione dell’album è affidata – non a caso – a Parola, elegia sulla morte del linguaggio con la malinconia di chi è impotente rispetto al degrado culturale di cui è testimone: «I ragazzi di oggi – spiega Vecchioni – conoscono e usano solo seicento vocaboli rispetto ai cinquemila di dieci anni fa».