Alain Touraine nel libro Il mondo è delle donne («il manifesto» del 17 febbraio 2010) lo studioso francese sottolineava come la penetrazione del pensiero della differenza nella coscienza delle donne stia favorendo anche un lento e faticoso rinnovamento degli stessi soggetti maschili: come è capitato a chi scrive, l’incontro con gli studi di genere diventa esame auto-critico di se stesso e del proprio posto, in quanto uomo, non solo nella vita quotidiana ma anche all’interno dell’Accademia.

Così, una delle strade da percorrere per il rinnovamento della sociologia italiana e, più in generale, della cultura del nostro paese, appare proprio quella dei Gender Studies. Legati inizialmente al femminismo di seconda ondata, gli studi di genere nel mondo occidentale si sono affermati e gradualmente istituzionalizzati dalla metà degli anni Settanta come un ampio settore interdisciplinare di studio. Da questo punto di vista, il loro programma sembra muoversi su tre indirizzi principali: la problematizzazione del rapporto natura-cultura-società a partire dal modo in cui i corpi, la sessualità, i soggetti e le menti sono plasmati dalla definizione del maschile e del femminile all’interno di un certo contesto culturale. La messa in discussione delle dinamiche di dominio, normalizzazione e marginalizzazione attuate da chi detiene e utilizza le risorse necessarie per produrre e riprodurre queste definizioni (strettamente legate alla divisione del lavoro sociale, alla riproduzione della specie e all’imposizione di un certo ordine sociale). Il superamento di quella logica binaria e dell’universalismo ontologico che hanno retto lo sviluppo dell’Occidente negli ultimi due millenni. I soggetti dominati (le donne) e\o marginalizzati e stigmatizzati (ad esempio gli omosessuali) hanno trovato dunque rappresentazione, voce e spazio critico per mettere in discussione quel soggetto maschile che, ponendosi come «Soggetto universale» (utilizzando le categorie di Lucien Irigaray) aveva consolidato e costruito quelle stesse forme di dominio e marginalizzazione.

L’ostilità dell’Accademia

La cultura e le scienze sociali italiane, pur avendo espresso studiose e studiosi di livello nel campo dei Gender Studies, hanno sempre opposto una forte resistenza alla loro istituzionalizzazione accademica: nell’Anno Accademico 2011\2012 erano attivi solo 57 insegnamenti aventi per argomento queste tematiche; uno scenario davvero deprimente se si pensa che, in base ad un sondaggio condotto nel 2007 dalla National Women’s Studies Association, negli Stati Uniti erano attivi 1097 corsi universitari riconducibili alla sola area degli Women Studies (studi sulle donne). In un paese segnato come pochi altri in Europa dal Gender Gap e da un welfare sessista, le tematiche di genere sono considerate o come una sorta di orpello inutile oppure come portatrici di un disfacimento generale della società (soprattutto da parte del mondo cattolico più conservatore e reazionario). In realtà, in un’Accademia ormai in profonda crisi di identità (e non solo finanziaria) prospettive come queste se adeguatamente incluse nei curricula universitari e riportati al centro del dibattito culturale, potrebbero favorire sia un rinnovato contatto con la realtà italiana sia la ridefinizione dei paradigmi scientifici, nel campo delle scienze umane e sociali. Su queste problematiche si interrogano due volumi pubblicati recentemente.

Il primo, di Elisabetta Ruspini e Alessandra Decataldo, si intitola La ricerca di genere (Carocci, euro 16) e costituisce, sul piano metodologico, un contributo importante per affrontare il tema del rinnovamento della ricerca sociale italiana. Il volume, infatti, muove lungo due grandi assi tematici: il primo riguarda la differenza tra una ricerca più classica, «orientata al genere», nella quale cioè tutti i parametri dell’indagine, restando immutati, vengono semplicemente analizzati attraverso la variabile «sesso»; e una ricerca «sensibile al genere», nella quale in tutte le fasi dello studio sono tenute presenti le differenze di genere mediante l’utilizzo di specifici indicatori. Si tratta di una distinzione fondamentale poiché solo la seconda scelta metodologica consente la vera e propria inclusione del Gender nell’indagine – indipendentemente dal tema studiato – ed infatti, solo recentemente, molte importati indagini internazionali si stanno muovendo secondo questa impostazione.

Un approccio qualitativo

Il secondo asse tematico riguarda il definitivo superamento di quello che è stato considerato a lungo un vero e proprio tabù: per molti anni si è ritenuto che solo i metodi qualitativi (come le interviste in profondità o le interviste di gruppo) fossero adatti alla ricerca di genere, essendo le statistiche e i metodi quantitativi identificati con le logiche di ricerca dei soggetti dominanti (tipicamente gli uomini eterosessuali). Prendendo atto delle recenti innovazioni in campo internazionale, il libro di Ruspini e Decataldo mostra come, al contrario, i metodi quantitativi possano e debbano essere utilizzati nella ricerca di genere se adeguatamente parametrati alla luce di una strategia d’indagine «sensibile al genere» e, soprattutto, attraverso un uso integrato con gli approcci qualitativi.

Il secondo volume, curato dal Consiglio Scientifico della Sezione di Studi di Genere dell’Associazione Italiana di Sociologia (Ais) si intitola Sotto la lente del genere. La sociologia italiana si racconta (Franco Angeli, euro 25) e nasce a partire da un Convegno nazionale dall’omonimo titolo, svoltosi nel Maggio 2013 nell’Università «Roma Tre». Come recita il titolo, il volume rappresenta il tentativo di ricostruire sia la storia recente della sociologia italiana sia lo stato attuale della disciplina, fuori e dentro l’Accademia, utilizzando l’ottica del genere. Nella prima parte, il volume ricostruisce il quadro generale della situazione: penetrata nelle scienze sociali italiane sul finire degli anni Settanta, la prospettiva di genere si è legata ad un mutamento nell’egemonia dei paradigmi scientifici; al determinismo, alla sociologia «senza soggetti agenti» tipica dei decenni precedenti, si sostituisce una prospettiva ormai tutta centrata sugli attori sociali e sui temi dell’identità tra i quali trova spazio il Gender.

La seconda parte del volume presenta una ampia rassegna – curata da ciascuna sezione tematica in cui si articola l’Ais – del modo in cui l’ottica di genere è stata declinata nei vari ambiti della ricerca sociologica italiana, dalla sociologia delle religioni a quella del lavoro. Ne emerge un quadro necessariamente differenziato che testimonia però come, negli ultimi trenta anni, questa prospettiva sia penetrata nel discorso della sociologia italiana e, nonostante le ancora forti resistenze, abbia contribuito ad arricchire le nostre visioni delle disuguaglianze, della insufficienza dei diritti e del welfare, offrendo allo stesso tempo un ulteriore punto di ricostruzione di nuovi percorsi di emancipazione.