Dal giorno del suo insediamento, il 26 gennaio 2015, il governo di Alexis Tsipras ha dovuto affrontare due avversari, egualmente temibili: la Troika e l’opposizione interna a Syriza. Con la vittoria del no al sessanta per cento durante il referendum del 5 luglio, Tsipras è riuscito ad ottenere un margine di vantaggio rispetto ad entrambi, e quest’esito non era scontato. Il voto dei cittadini greci è stata la prova che la strategia del governo e della maggioranza di Syriza è giusta: il punto di forza risiede nell’avere capito la posta in gioco nella crisi dell’eurozona. Non si tratta solo di definire le politiche economiche dell’Unione, spostandole da una direzione neoliberista verso una più sociale, né di recuperare una dimensione democratica del governo europeo contro quella tecnocratica.

Questi sono obiettivi vitali, ma l’attuale governo greco ha capito che per ottenerli è necessario incidere sulla questione politica di fondo: i contorni dello spazio europeo come campo di battaglia e oggetto di scontro. Nei prossimi giorni, nella trattativa tra la Grecia e la Troika, si gioca il potere di decidere la scala e le coordinate dello spazio politico come spazio europeo. La forza di Tsipras e del suo governo è stata quella di mantenere sempre lo scontro politico sul piano europeo e di usare gli elementi globali ed internazionali cosi come quelli nazionali per intervenire nel rapporto di forze di scala continentale. In questo modo, i contatti di Tsipras con Russia e Cina e la sua capacità di mobilitare il governo Obama in difesa della permanenza della Grecia nella Nato non sono mai diventati reali linee di fuga dalla scacchiera continentale, ma sono riusciti a rinforzare la necessità della permanenza della Grecia nell’eurozona.

Allo stesso modo, il referendum greco non è stato solo un referendum nazionale, ma una vera consultazione europea, con la capacità di cambiare l’assetto dell’Unione e con una valenza costituente per la democrazia europea. Anche in questo caso, l’abilità del governo greco è stata quella di non abbandondare mai il terreno europeo come terreno di lotta: se il voto si fosse trasformato in un si o un no alla permanenza nell’euro, come volevano i suoi detrattori, avrebbe perso tutta la sua potenza. La novità di Syriza è stata quella di non cedere ai due errori di prospettiva di larga parte della sinistra radicale in Europa e in Grecia, ovvero quello di pensare che il potere oggi è o al di sopra di ogni spazio politico concreto, nelle mani dei centri finanziari internazionali, di cui il Fondo monetario internazionale e l’Unione europea sarebbero i rappresentanti, o al di qua della scala continentale, all’interno degli stati nazionali.

Se il governo greco giocasse sul terreno nazionale, uscendo dall’eurozona, farebbe felici i suoi avversari, perché a questo punto uscirebbe dalla battaglia per definire lo spazio europeo. Non è un caso che il governo tedesco, ed in particolare il ministro delle finanze Schauble, puntino proprio ad usare il voto greco per arrivare a questo esito. Adesso il rischio principale per Tsipras, una volta aggirate le trappole internazionali e nazionali, è proprio quello di essere spinto fuori dal campo di battaglia europeo. Il referendum del 5 luglio ha avuto il merito di rendere manifesti i conflitti all’interno del campo europeo, ma ha anche reso più acute le linee di rottura e di scontro di questo stesso spazio. Tsipras deve mantenere la Grecia all’interno dell’eurozona, e questo per ragioni, come abbiamo spiegato, più politiche che economiche.

Le istituzioni europee, tuttavia, si illudono se pensano di poter conservare intatto lo spazio continentale con l’uscita eventuale della Grecia dall’euro e quindi dall’Unione: ogni cambiamento nella rete di relazioni di cui è fatta, materialmente, oggi l’Europa porterà a delle rotture ulteriori e ad una trasformazione del campo di battaglia stesso. In questo risiede la miopia di una parte dell’élite comunitaria ed in particolare di quella tedesca. Tsipras è consapevole di questo rischio, e ne ha scritto in un editoriale per il quotidiano francese Le Monde pubblicato il 31 maggio 2015 ed intitolato “No ad un’Europa a due velocità”. In questo pezzo si dice consapevole che lo scontro sulla Grecia è in realtà quello tra due strategie opposte per la prosecuzione dell’integrazione europa. Una è quella di un approfondimento dell’integrazione in un contesto di eguaglianza e solidarietà, l’altra invece è proprio quella che vediamo in atto nel dopo referendum e si tratta di una strategia che «porta alla rottura e alla divisione della zona euro e, di conseguenza, dell’Ue. Il primo passo in questa direzione sarebbe la costituzione di una zona euro a due velocità, in cui il centro imporrebbe dure regole di austerità» (Alexis Tsipras, Le Monde, 31 maggio 2015).

Per evitare questo esito, il governo di Tsipras può sfruttare le incrinature all’interno dell’asse franco-tedesco: la posizione e gli interessi di Francia e Germania non coincidono su questo punto, infatti l’economia francese difficilmente reggerebbe una maggiore austerità e Marine Le Pen vedrebbe i suoi voti aumentare ulteriormente. Il governo greco deve inoltre cercare di usare le alleanze con i partiti di sinistra radicale costruite negli altri paesi europei per non restare isolato e puntare soprattutto sulle prossime elezioni spagnole e sulla possibilità di una vittoria di Podemos.

In ogni caso, se la Grecia rimane salda nella posizione di non uscire dalla zona euro sarà difficilmente sconfitta, perché dovranno essere le istituzioni europee, e in primis la Banca centrale europea, ad assumersi la responsabilità di cacciarla, e questo darebbe solo nuova linfa alle forze che vogliono una disintegrazione del continente.