È una selva labirintica e ombrosa quella che ricopre della sua fitta vegetazione il tratto peruviano del Rio delle Amazzoni, ma altrettanto contorta e oscura è la psiche dell’archeologa Lara Croft che vi viaggia attraverso, sprofondando nel fango, arrampicandosi sugli alti alberi, immergendosi nelle acque dove nuotano famelici piraña, sprofondando in grotte mefitiche, esplorando ancestrali rovine dei Maya mentre rincorre il sogno del padre defunto e uccidendo con il rigore di una spietata predatrice. La donna ventenne, sempre meno sensuale ma bella e gelida come un fiore cimiteriale, è ossessionata dalla sua impresa tanto da chiudersi in un cieco egoismo del quale neppure si accorge di essere vittima, tenta di scongiurare l’apocalisse e nel contempo è il suo primo vettore, massacra per sopravvivere orde di orribili lestofanti senza alcun rimorso o struggimento. La nuova Lara è un’invasata, un’eroina folle e terribile, magnifica e sempre sofferente, ferita e lorda di sangue come la bianca sposa di Tarantino.

Shadow of the Tomb Raider, appena uscito per Playstation 4, XBox One e pc, conclude la trilogia del rilancio di Lara da «bambola gonfiabile» a donna indomabile e risulta un episodio ancora più macabro e orientato verso il raccapriccio dei due capitoli che l’hanno preceduto. Sebbene il videogioco tenda a conservare il meglio della nuova saga rinunciando a rivoluzioni sostanziali nelle dinamiche ludiche, sarebbe un errore considerarlo un videogame obsoleto, perché si tratta di una spaventosa e appassionante avventura raccontata con il linguaggio pop del cinema di serie B e i luoghi comuni del genere ne amplificano il fascino, limando il superfluo per pilotarci in un’esperienza di scoperta, dolore e sopravvivenza all’ombra giunglesca della fine del mondo.

Sinistri presagi
Il gioco inizia con un breve preludio sulla costa del Messico, dove Lara insegue la setta paramilitare Trinity, responsabile dell’omicidio del padre. Qui la giovane, interagendo con antichi e pericolosi artefatti, scatena involontariamente uno tsunami che devasta un villaggio e poco dopo viaggerà fino in Perù mentre gli spettri di un’apocalisse Maya che solo lei può scongiurare adombrano il mondo con sinistri presagi.
Trattandosi di un gioco dove l’esplorazione è fondamentale, Eidos Montreal che ha sviluppato Shadow of the Tomb Raider (prodotto da Square-Enix)ha illustrato le ambientazioni con una cura per il dettaglio e l’illuminazione che le rendono efficaci, talvolta meravigliose anche quando così orripilanti da sconfinare nell’horror: giungle asfissianti tra le cui fronde penetrano rari raggi, cunicoli di claustrofobici ruderi sulle cui pietre giacciono scomposti cadaveri smembrati, villaggi policromatici e altri antichissimi e segreti popolati da abitanti credibili e reattivi, templi magnifici quanto pericolosi laddove regnano terrori soprannaturali.
Oltre a esplorare Lara si nasconde e uccide le orde di sgherri, comunque nazistoidi e violentissimi, con il suo arco, il coltello e armi da fuoco; va a caccia di animali più o meno aggressivi cucendosi un corpetto di pelle di leopardo, recupera risorse e preziose reliquie, si potenzia e diventa sempre più forte, una furia implacabile che solo qualche missione secondaria riconduce all’umanità. Oltre la storia principale sono proprio le attività opzionali il cuore accessorio del gioco e lo arricchiscono in maniera drastica: le cripte e i templi con i loro cervellotici enigmi, le scritture da decifrare aumentando l’abilità con il linguaggio, bestie rare da stanare e infine predare, novelle accessorie ma affascinanti che donano una maggiore profondità alla cornice narrativa. Rinunciando alle attività secondarie per proiettarsi verso il finale turba lo scorrere del gioco e penalizza l’esperienza definitiva; Shadow of the Tomb Raider deve essere giocato con lentezza, con il desiderio della scoperta, amando il superfluo, solo così rivela la sua grandezza avventurosa senza dubbio di maniera ma utile per restituire al giocatore brividi ed emozioni.

Travestimenti
Mentre trascorriamo le ore «travestiti» da Lara giungiamo infine a comprenderla se non ad amarla di un amore impossibile, perché ci fa paura e noi ci facciamo paura riflessi nei suoi occhi che ci guardano così crudeli e determinati dallo schermo del televisore. Ascoltando e leggendo le lezioni di storia e di archeologia impartite da questa folle professoressa apprendiamo qualcosa di utile, ma nello stesso tempo è come se non ci fidassimo del tutto di lei, smarrita nei suoi obiettivi e imprevedibile come una belva della giungla, negazione del «core gentile» e donna-arma non così diversa dal John Rambo del secondo episodio diretto da George Pan Cosmatos. C’è della dolcezza in Lara, c’è del buono, tuttavia è celato dalla asperità oltre ad essere quasi annullato dalla sua missione salvifica o forse solo egoistica.
Libro della Giungla horror, Shadow of the Tomb Raider è un’opera fosca e riuscita soprattutto laddove illustra la catastrofe, le architetture decadute e una crudele natura selvaggia nella quale Lara è l’inquietante regina che avrebbe indotto al timore reverenziale di un cucciolo persino la feroce tigre Shere Khan di Rudyard Kipling, prima di ucciderla e farsene degli stivali a strisce bianche, gialle e nere con un bonus per la camminata silenziosa.
Da non perdere per un superficiale snobismo culturale, soprattutto se preferite i giochi in single-player a tema avventuroso e non disdegnate la poesia nera del macabro, Shadow of the Tomb Raider ci racconta il dolore e la grandezza di una giovane donna colta e guerriera, totalmente emancipata, vittoriosa nell’affermare un suo eroismo femmineo che irrita a priori il maschilista, annichilendo la becera convinzione della superiorità del maschio e conficcando nell’occhio di macho della fallocrazia una freccia dalla punta avvelenata.