Sebbene Philadelphia sia una roccaforte del voto democratico, distante anni luce dalla politica golpista degli assaltatori di Capitol Hill, la posizione di Ignazio Marino, dal 2016 tornato alla sua vita di chirurgo e docente presso la Thomas Jefferson University dopo essere stato sindaco di Roma e prima ancora presidente della Commissione Sanità del Senato, offre una buona visuale sul rapporto che hanno gli americani con la scienza e la conoscenza.

Ignazio Marino

Come le sembra che abbiano reagito gli americani al Covid?

All’inizio della pandemia si sono osservati comportamenti molto differenti nei diversi Stati, a seconda della cultura che li caratterizza. La Pennsylvania per esempio ha adottato subito tutte le regole di distanziamento sociale e igiene, senza aver bisogno di imposizioni legislative. Oggi c’è obbligo della mascherina nei luoghi chiusi ma fin da subito la quasi totalità delle persone la usava anche in strada. Le regole imposte, sopravvenute successivamente perché necessarie in altri Stati, qui non servivano. Perché la Pennsylvania ha una storia di immigrazione che è soprattutto quacchera e calvinista, portatrice di una visione della vita molto diversa da chi è cresciuto in Texas o in Florida. Diciamo subito che Trump non aveva alcuna intenzione di ammettere i rischi di una pandemia, perché a fine febbraio o inizio marzo Wall Street era arrivata ai suoi massimi storici, una congiunzione che egli considerava – a torto o a ragione – favorevole alla propria rielezione. Cosicché ha fatto leva sul negazionismo, frutto dell’ignoranza, che di certo esiste nel Paese. Inoltre il sentire comune si fonda su un individualismo molto forte che fa parte della storia americana anche se poi viene estremizzato solo dai conservatori. Qui anche le persone più moderate di orientamento repubblicano non vogliono l’intromissione del governo nella propria vita, se non per questioni essenziali, secondo il principio «The best government is that which governs least» (il miglior governo è quello che governa di meno). Perciò i Centers for Disease Control and Prevention che fin dall’inizio hanno avvertito della gravità della situazione o il National Institutes of Health che attraverso la voce di Anthony Fauci ha spiegato cosa si sarebbe dovuto fare per proteggere i cittadini dalla pandemia, non sono stati sostenuti dal presidente Trump.

Quale le sembra il sentimento comune verso la campagna di vaccinazione cominciata con i sieri di Pfizer e Moderna?

Questo lo si vedrà in primavera quando i vaccini arriveranno a tutta la popolazione, non solo alle fasce più a rischio. Però la mia sensazione è che anche tra le persone colte e preparate ci sia una percentuale che è preoccupata per i tempi troppo rapidi con cui è stato approntato il vaccino. Tanto che da noi alla Jefferson, che conta 14 ospedali e 32 mila dipendenti, stiamo facendo una campagna interna settimanale molto pressante per spiegare l’importanza della vaccinazione.

E tra il personale sanitario?

Nella grande maggioranza degli ospedali americani, come alla Jefferson, medici e personale sanitario non possono esercitare la professione se non si sottopongono al vaccino anti influenzale. Molto difficile venire esentati per questioni di salute o religiose. Con il Covid invece finora si è scelto di non rendere obbligatoria la vaccinazione. Alla Jefferson abbiamo temuto che potesse essere visto come una intrusione nella libertà individuale, perciò lo stiamo fortemente raccomandando ma senza renderlo obbligatorio. Personalmente credo nella obbligatorietà dei vaccini, anche perché se non fossero stati obbligatori in tutto il pianeta il vaiolo non sarebbe stato debellato ormai da 41 anni. La polio invece non è ancora stata eradicata perché in alcuni piccoli territori dell’India e dell’Africa, a causa di resistenze di carattere culturale e religioso, il vaccino non è stato imposto. Ma la società americana è liberale in modo capillare. Pensi che negli Usa, di norma, ogni singolo ospedale negozia direttamente con le case farmaceutiche, perciò il divieto di negoziare Stato per Stato con l’industria farmaceutica per l’acquisizione dei vaccini, e invece la centralizzazione della contrattazione e la distribuzione dei vaccini su tutto il territorio federale, è un fatto totalmente nuovo per gli Usa.

Il sentimento anti scientifico è aumentato con Trump?

L’America è essenzialmente un Paese che crede moltissimo nel progresso della scienza anche se c’è una parte della popolazione che non si riconosce nelle posizioni culturali di conoscenza avanzata che essa può offrire. Voglio fare due esempi, uno storico e uno contemporaneo. Abraham Lincoln, repubblicano, un giorno uscendo dalla propria tenda, invece di firmare un atto di guerra, decise di fondare la National academy of science (Nas) perché, disse, «chiunque vinca voglio che questo Paese tenga sempre in grande conto la parola della scienza». La Nas esiste ancora oggi, con circa 2000 membri scelti in tutto il pianeta in base ai loro curricula, ed è un organo di consulenza del governo federale. Certo poi con un presidente che confonde il tempo meteorologico con i cambiamenti climatici, il lavoro della Nas diventa più complicato. Però tre anni fa, quanto Trump era da un anno al potere annunciò che avrebbe tagliato del 25-30% i fondi per la ricerca in campo sanitario. Il rettore di Jefferson mi chiese di incontrare a Washington alcuni senatori repubblicani per verificare se ci sarebbe stato davvero quel taglio ai 35 miliardi di dollari l’anno che è il bilancio statale per la ricerca medica. Devo dire che quel giorno imparai una lezione: i cinque repubblicani che incontrai mi riferirono che la maggioranza del loro partito non era d’accordo con Trump, e in effetti ottennero dal presidente un passo indietro. Mi spiegarono che malgrado tutti i presidenti repubblicani abbiano sempre chiesto di tagliare i fondi pubblici per la ricerca, con l’idea di lasciare questo compito all’industria e al finanziamento privato, l’ultimo presidente che ci era riuscito era stato Ronald Reagan, col risultato di molti morti e un Nobel mancato. In effetti il riconoscimento per la scoperta del virus dell’Aids lo ottenne il francese Luc Montagnier e non l’americano Robert Gallo.

Eppure QAnon fa proseliti negli States, e anche tanti.

C’è una differenza tra quel popolo che assalta Capitol Hill con le corna in testa e i cittadini di fede repubblicana, anche se l’individualismo americano non concepisce l’idea di pagare con soldi pubblici l’assicurazione sanitaria a chi non può permettersela. Ma questa è un’altra storia. Comunque va detto che anche in Italia c’è un forte analfabetismo di ritorno, e d’altronde non si era mai vista una classe dirigente tanto incolta, che pure trova consenso nella popolazione più sofferente e rabbiosa, e che certamente si identifica maggiormente con chi gli assomiglia di più.

Che rapporto vede tra la scienza e la democrazia?
Io credo fortemente che la democrazia debba appoggiarsi in maniera molto solida sulla conoscenza scientifica. Penso che anzi sia un ruolo dello Stato democratico intervenire quando si accorge della presa di certi sentimenti antiscientifici. Ma questo richiede uno sforzo importante. Al contrario, Trump ha incitato una folla intrisa di quei sentimenti, e questo rimane un atto gravissimo. Evidentemente non ci sono i tempi tecnici per un impeachment o per la rimozione del presidente, però mi auguro che la giustizia e il nuovo governo americano si occupino molto seriamente di quanto è accaduto, perché le responsabilità delle forze di polizia sono evidenti, e questo episodio non può essere dimenticato.