Dopo la tempesta di domenica, ieri la tensione in Catalogna è rimasta alta. Ma arrivano timidi segnali di pace. Il governo catalano, che fino a domenica sera era sembrato intenzionato a procedere direttamente con la dichiarazione unilaterale di indipendenza, dopo una riunione dei suoi ministri ha lanciato un segnale: «C’è bisogno di mediare». Il presidente catalano Carles Puigdemont ha chiarito che «né io né il governo catalano stiamo dichiarando l’indipendenza», e che chiede la «mediazione reale e sincera» fra governo spagnolo e governo catalano da parte di mediatori internazionali. E ha concluso chiedendo che gli agenti della Policia nacional e della Guardia civil lascino la Catalogna.

Catalan President Carles Puigdemont (C) is flanked by Barcelona mayor Ada Colau and Vice President Oriol Junqueras as they stand with people in Plaza Sant Jaume during a protest called by pro-independence groups for citizens to gather at noon in front of city halls throughout Catalonia, in Barcelona, Spain October 2, 2017. REUTERS/Juan Medina

 

UN MODO PER PRENDERE tempo davanti a chi vorrebbe che nella sessione di domani il Parlament catalano dichiarasse già l’indipendenza come, in teoria, previsto dalla legge annullata dal Tribunale Costituzionale spagnolo. I risultati quasi definitivi – sempre che possano essere affidabili, date le condizioni precarie in cui si è votato domenica – li ha dati il governo catalano: 2 milioni 262mila persone avrebbero votato, i Sì il 90% circa, i no 7.8%, bianchi e nulli quasi il 3%. Secondo il governo catalano, non è chiaro basandosi esattamente su quali dati, 770mila persone non avrebbero potuto votare per la repressione della polizia.

Girona è stata la città con la partecipazione più alta, al 53% (e anche con la maggiore percentuale di Sì, 94.86%) poco sopra al 52.83% di Lleida; a Tarragona invece la percentuale più bassa di votanti, 40.62%, poco sotto Barcellona dove si è recato ai seggi il 40.78% degli aventi diritto, qui i Sì hanno incassato l’88.57%.

Sia come sia, i dati sono interessanti, se li diamo per buoni. Vuol dire che, nonostante tutto quello che è successo negli ultimi anni, il numero di indipendentisti è rimasto più o meno costante dal 2014: 2 milioni di persone, sui 5 e mezzo di votanti. Una percentuale molto importante, ma certamente non maggioritaria.

Il governo catalano ha anche quantificato i danni al materiale scolastico dovuto all’intervento degli agenti mandati dal governo spagnolo: circa 300mila euro. Se il numero dei feriti civili arriva quasi a 900, curiosamente ieri il ministero degli interni spagnolo aveva decuplicato il numero di agenti feriti. Domenica erano 39, e ieri più di 400.

IN GIORNATA, ci sono state proteste spontanee nei luoghi di lavoro: alle 12, molti lavoratori sono usciti per mostrare il loro rifiuto della violenza e l’appoggio all’indipendenza. Per oggi gli indipendentisti hanno dichiarato uno sciopero generale di protesta, insieme alla Cgt e ad altre tre sigle dei sindacati minori: curioso, in un certo senso, perché fomentato dal governo e da molte istituzioni pubbliche, che infatti hanno chiesto ai lavoratori di rimanere a casa, ma senza togliergli lo stipendio. Per questo i due grandi sindacati Ugt (l’Unión General de Trabajadores) e Ccoo (Comisiones Obreras) pur condividendo le mobilitazioni contro «gli eccessi» della polizia, si smarcano dallo sciopero di oggi perché «in nessun caso appoggeremo posizioni che avallino la dichiarazione unilaterale di indipendenza». Una posizione indubbiamente coraggiosa dato il clima che si registra: lo sciopero di oggi potrebbe avere un successo elevatissimo, con gli animi ancora caldi dopo i fatti di domenica.

LA SINDACA DI BARCELLONA Ada Colau ha chiarito che la dichiarazione unilaterale di indipendenza sarebbe «un grave errore» – stessa posizione di Podemos, che ha chiarito non è stato «un referendum legale e con garanzie e non se ne possono trarre conclusioni per la Catalogna». Il comune ha chiesto la collaborazione cittadina per denunciare violazioni dei diritti umani e si è messo a disposizione per denunciare le violenze più gravi come i casi di aggressione sessuale che sono avvenuti dopo le cariche.

A MADRID invece le cose vanno più lente. Il Congresso non ascolterà Rajoy (che lo ha chiesto) fino al 10 ottobre. Rajoy intanto ha sondato gli altri partiti: ha parlato con Albert Rivera (Ciutadanos) che chiede direttamente l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione per togliere le competenze alla Catalogna, e con il socialista Pedro Sánchez, che pur criticando le cariche della polizia e annunciandogli che chiederà spiegazioni e responsabilità, ha mantenuto l’appoggio al governo chiedendogli di aprire «un negoziato immediato». Rajoy non ha parlato né con il segretario di Podemos Pablo Iglesias, né con Alberto Garzón di Izquierda Unida.

Oltre alla dichiarazione della Commissione europea, che sottolinea che la questione catalana è una vicenda interna, e che il referendum non era costituzionale, ma stigmatizza l’uso della violenza («che non può essere uno strumento in politica»), notevoli sono state le prese di posizione del Commissario per i diritti umani dell’Onu e della stessa Amnesty International che hanno criticato il governo spagnolo e chiedono un’inchiesta imparziale sulla violenza della polizia. L’Eurocamera mercoledì, su richiesta di Verdi e Sinistra, discuterà di Catalogna.