Miquel Iceta guida i socialisti catalani (Psc) dal 2014. Ha raccolto il timone di un partito che era il secondo granaio di voti socialisti in Spagna dopo l’Andalusia nel suo periodo di maggiore crisi. È stato il primo politico spagnolo negli anni 90 a fare coming out.

 

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Come definisce quello che sta succedendo oggi?

Un’importante mobilitazione della gente che vuole l’indipendenza. Il governo catalano lo chiama «referendum», ma non lo sarà. Siccome non è né legale, né con garanzie, non se ne può dedurre un mandato per l’indipendenza.

Una mobilitazione tanto grande non la impressiona?

A me interessano tutte le cause che muovono tante persone, ma questa non la condivido. Gli indipendentisti sono capaci di mobilitare moltissime persone, ma dovrebbero riconoscere che non è una mobilitazione maggioritaria. È importante e non ce ne sono altre uguali in Europa, ma non riunisce la maggioranza dei catalani, come dimostrano le elezioni del Parlament del 2015 (dove gli indipendentisti ottennero il 48% dei voti, ndr).

Come mai sono così bravi?

Sono stati capaci di condensare in una sola molte altre rivendicazioni. La gente scontenta di come funziona il sistema politico o quelli che credono che il sistema economico sia ingiusto, quelli che vorrebbero una Catalogna migliore, hanno proiettato sull’indipendenza queste rivendicazioni. Come ha detto la filosofa Marina Sobirats, l’indipendentismo è l’unica utopia disponibile.

E perché voi non ci riuscite?

Perché noi non proponiamo un’utopia, proponiamo un’uscita pragmatica, senza quest’epica del «faremo un paese nuovo». A chi non piacerebbe un paese nuovo, in cui tutto sarà possibile e i sogni saranno alla portata di tutti? Certo che questo emoziona. Ma io penso che sia un miraggio. Sappiamo che la nostra idea non è maggioritaria, ma rappresentiamo comunque mezzo milione di catalani, abbiamo 122 sindaci (su 947, e che si sono rifiutati di appoggiare il referendum, ndr) – il Pp ne ha solo 1, in un paese di 900 abitanti, e Ciudadanos nessuno.

Non avete paura che vi si percepisca troppo vicini al Pp?

Noi non siamo vicini al Pp, siamo gli unici ad aver cercato di scalzarlo, con Pedro Sánchez. Ma domandiamo che si rispetti la legalità. Certo, la causa del problema qui è il Pp, con la questione dello Statuto e con la sua incapacità di dialogare e fare proposte.

Ha commesso illegalità in questi giorni con la repressione?

Secondo noi no. La Generalitat invece per sua stessa ammissione sta infrangendo tutte le leggi. Anche in Italia c’è stato un dibattito se il Veneto poteva fare un referendum d’indipendenza, e la Corte costituzionale ha detto di no. È un errore non rispettare le leggi. È legittimo volerle cambiare, ma senza scorciatoie come fa l’indipendentismo.

Qual è la vostra proposta?

Cambiare la costituzione, mai riformata seriamente dalla sua approvazione. Vorremmo che la Spagna diventasse federale, una Catalogna con maggior autonomia e un finanziamento migliore, e che questo accordo si possa votare.

Non è troppo tardi?

No, e comunque lo vedremo se si voterà questa o un’altra proposta.

Nel 2012 eravate a favore del referendum.

Sì, e anche ora: lo vogliamo sulla riforma federale. Nel 2012 proponevamo una consulta legale e accordata, ora ne vogliamo una concreta. Loro vogliono l’indipendenza, per noi è solo l’ultimo ricorso, e quindi dovrebbe essere l’ultima domanda, non la prima. L’indipendentismo fa fatica a capire che c’è gente che non la pensa come loro. È la cosa più preoccupante. Prima di rompere, noi pensiamo valga la pena cercare un nuovo accordo. Tutti i sondaggi dicono che su questo tema siamo pari. È un errore risolverlo a maggioranza essendo un tema non solo politico, ma di sentimenti di appartenenza.

Che succede ora?

Non ne ho idea. Se sono coerenti, devono dichiarare l’indipendenza. Ma se lo facessero, la Catalogna non sarebbe comunque indipendente, perché l’indipendenza non si dichiara, è una cosa che gli altri devono riconoscerti. E non vedo nessun paese europeo disposto a farlo, e meno ancora sulla base di un referendum illegale.