Domani gli scozzesi voteranno per eleggere i membri del proprio parlamento nazionale e, indirettamente, il governo che guiderà la nazione per i prossimi cinque anni. Come parte del Regno Unito, la Scozia non ha un’autonomia totale, ma il suo parlamento decide comunque su materie fondamentali fra cui la sanità, le politiche sociali e in parte anche quelle fiscali.

Il partito attualmente al governo, lo Scottish National Party della premier Nicola Sturgeon va verso una sicura vittoria. Saranno però le dimensioni del successo a contare davvero. L’Snp spera infatti di ottenere la maggioranza assoluta per governare senza alcun supporto esterno. Inoltre, un plebiscito sarebbe un segnale forte della volontà degli scozzesi di tenere un secondo referendum per l’indipendenza da Londra, dopo quello perso 55 a 45 nel 2014.

Dopo il trauma del 2014, l’Snp ha vinto ampiamente le elezioni parlamentari del 2016, ma ha ottenuto solo 63 seggi sui 65 necessari per la maggioranza assoluta in parlamento e si è visto quindi costretto a formare un governo di minoranza. Negli ultimi cinque anni il consenso all’indipendenza e all’Snp è però tornato a crescere, anche come conseguenza della Brexit, cui gli scozzesi si erano opposti in maggioranza.

I sondaggi danno l’Snp poco sotto il 50%, di qualche punto in discesa rispetto al picco del 55% circa di metà 2020. A tale flessione ha certamente contribuito il neonato partito Alba del fuoriuscito Alex Salmond, ai ferri corti con Sturgeon dopo averla accusata di aver tramato contro di lui durante il recente processo per molestie sessuali, processo da cui è uscito assolto. Stando ai sondaggi, Alba otterrebbe solo il 3%, ma si tratta di voti quasi interamente sottratti al bacino elettorale del Snp.

Discorso simile vale per i Greens: pur attestandosi su percentuali simili, i verdi scozzesi potrebbero raddoppiare i loro seggi nel parlamento di Edimburgo e creare ulteriori problemi a Sturgeon, nonostante una certa convergenza sulle politiche ambientali e sociali nella scorsa legislatura e l’essersi dichiarati «disposti a confrontarsi con l’Snp» per un possibile governo di coalizione nella prossima.

Una partita quasi a parte è invece quella fra laburisti e i conservatori, che si giocano il secondo posto e la supremazia nel fronte unionista. Labour e Tories sono infatti contrari all’indipendenza dal Regno Unito. Le loro campagne elettorali sono state entrambe incentrate sulla necessità di non dividere gli scozzesi con battaglie ideologiche in un momento in cui l’unità nazionale sembra più necessaria che mai per affrontare la crisi sanitaria ed economica provocata dal Covid-19. Entrambi i partiti sono dati fra il 20 e il 25%, con i conservatori in leggero vantaggio.

A osservare con attenzione la contesa non è solo il Regno Unito, ma anche l’Unione Europea. È infatti certo che, fra i piani dell’Snp per una Scozia indipendente, quello di riportare la Scozia nell’Ue è in cima alla lista. Circa 170 figure del mondo della cultura europea hanno intanto firmato una lettera indirizzata all’Unione per chiedere che venga «tracciato in modo chiaro, e prima di un eventuale referendum, un percorso per l’ingresso della Scozia nell’Ue». Fra i firmatari ci sono Jonathan Coe, Brian Eno, Elena Ferrante, Roberto Saviano e Slavoj Žižek. Un segnale forte diretto più ai tanti elettori scozzesi progressisti incerti sul tema indipendenza che alle istituzioni europee.