L’indifferenza, raccontata dal giovanissino Alberto Moravia, compie novant’anni e non li dimostra. Il romanzo Gli indifferenti, pubblicato a maggio del 1929 dalla casa editrice Alpes di proprietà del fratello del Duce, che definì l’autore «negatore di ogni valore umano», ebbe un successo clamoroso, di pubblico e di critica. L’anniversario cade in un anno dove i capi di Stato di mezza Europa, attentissimi alle banche e alla globalizzazione, la praticano senza rossori nei confronti di tutta una gioventù senza lavoro e del popolo dei migranti, rimettendo in discussione i diritti civili più elementari.

SI TRATTA di una indifferenza di bottega, riassunta dalle poche famiglie borghesi detentrici di tutto il potere sul resto del mondo. Scriveva Renzo De Felice che «nel periodo ’29-’34, la grande maggioranza dei giovani o era depoliticizzata, e quindi subiva passivamente il fascismo, senza mostrare alcun interesse reale né per esso né per soluzioni alterntive e pensava solo alla propria sistemazione (tipica in questo senso, è la testimonianza offerta da Gli indifferenti) o, se politicizzata, lo era in senso fascista», citando l’articolo apparso su Critica fascista di E. Rocca dove si legge: «questo giovanissimo romanziere ha scoperto e reso con incredibile acutezza notomizzatrice una vecchiaia immonda per capacità  di rinunzia e una gioventù precocemente resa inaccessibile all’entusiasmo dall’irrisione di ogni ideale romantico, a tutto indifferente».

PER QUEL ROMANZO i servizi segretii del Duce  tennero d’occhio «il noto Pincherle», seguendolo in tutti i suoi viaggi, interni e esteri fino alla fine del fascismo. Quelle veline, conservate nell’archivio di Stato, di cui Moravia non seppe mai nulla, le pubblicai su un numero dell’Espresso suscitando risposte liquidatorie di letterati italiani, che avevano mal sopportato il suo continuo successo internazionale. Moravia dunque condannò l’indifferenza borghese di una famiglia corrotta, che abitava un villino, poi rilevato dal Vaticano, assurto alle recenti cronache per il ritrovamento nel box del guardiano di ben settanta ossa, rimaste a tutt’oggi non identificate. Si era sperato per poco che fossero quelle di Emanuela Orlandi.

INDIFFERENZA E DELITTO, dunque, tutte cose che sotto il fascismo si praticavano ma non si potevano denunciare pubblicamente. Era la brama di denaro a farla crescere prosperosa. Il protagonista, Michele Ardengo era cosciente di quella lebbra,che riteneva esistente fin dal Seicento, quando l’Italia entrò nella decadenza attuale. La ripugnanza verso la sua famiglia borghese tuttavia si risolse nell’impotenza di quella pistola puntata contro l’amante della madre da cui però amleticamente non partì alcun colpo liberatore.

ASCOLTIAMO DESOLATI l’indifferenza di oggi in veste cinica e razzista nelle trasmissioni televisive e nei social, sia se si occupano della lunga guerra dei gilets jaunes francesi contro lo strapotere delle banche, sia se gridano contro la migrazione epocale dai paesi africani più poveri e afflitti da guerre dell’oro e del petrolio. L’indifferenza di oggi è più spietata di quella raccontata da Moravia, e da altri giganti della narrativa mondiale. Si colora del razzismo e del cinismo più ripugnanti.
E non se ne vede la fine.