Un messaggio denso e chiaro. Un monito al mondo intero e all’indifferenza con cui si è guardato negli ultimi vent’anni a quell’immensa tragedia che è stata la morte di migliaia di uomini e donne inghiottiti dal mare mentre cercavano di solcare il Mediterraneo.

«La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi alla globalizzazione dell’indifferenza», ha detto Mario José Bergoglio dall’altare sopra al campo di calcio di Lampedusa davanti a una folla di isolani ancora increduli che il Papa abbia scelto questo avamposto di frontiera a due passi dall’Africa per il suo primo viaggio ufficiale fuori dal Vaticano.

Invitato dal parroco locale, don Stefano Nastasi, e dall’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro – lo stesso che nel 2009 allestì nella sua cattedrale un presepe con un cartello in cui si leggeva «quest’anno i re magi non sono venuti perché sono stati respinti alla frontiera» – Papa Francesco ha fatto un discorso eminentemente politico. Un discorso diretto a tutti, all’indifferenza generale con cui si assiste a questo eccidio, ma soprattutto a quanti prendono le decisioni in Italia come in Europa, a quanti hanno costruito e poi blindato quella fortezza ai cui margini si è andato allestendo un cimitero di vittime senza nome. E non è un caso che la Santa sede ha fatto sapere che per l’occasione non erano graditi esponenti politici e ha invitato il ministro degli interni Angelino Alfano – desideroso di partecipare in quanto «cittadino della provincia di Agrigento» – che sarebbe dovuto rimanere a casa.

«Gli immigrati morti in mare sono una spina nel cuore», ha detto il Papa all’inizio della sua omelia, dopo aver fatto un giro a bordo di una motovedetta della capitaneria di porto e aver lanciato in acqua una corona di fiori in memoria dei migranti morti. E quasi a sottolineare le sue parole, negli stessi momenti in cui il pontefice atterrava all’aeroporto dell’isola, un gruppo di 166 immigrati è stato soccorso in mare e trasbordato dagli uomini della capitaneria di porto nel centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa). Poi papa Francesco è arrivato al campo da calcio, dove lo aspettavano migliaia di isolani, di turisti e qualche decina di immigrati di nazionalità somala ed eritrea momentaneamente alloggiati all’interno del Cpsa, in attesa di essere trasbordati verso altri centri sul territorio della penisola.

Mentre il Papa parla, Lampedusa incredula assiste a questo evento storico, a quest’uomo che dice parole semplici ma durissime e spera di uscire dalla bolla di indifferenza e di oblio in cui è stata abbandonata negli ultimi anni – quando si è lasciato che contasse le vittime in mare in perfetta solitudine o si è cercato di trasformarla a più riprese in una specie di carcere a cielo aperto, cambiando destinazione d’uso al centro di accoglienza e di parcheggiarvi per mesi gli stranieri in attesa di espulsione. Erano i tempi di Roberto Maroni al Viminale e del «dobbiamo essere cattivi con gli immigrati», degli accordi con i paesi della riva sud per i «pattugliamenti congiunti» delle frontiere, dei respingimenti in mare sanzionati infine dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Erano i tempi del Trattato di amicizia con Gheddafi celebrato dall’allora premier Silvio Berlusconi con le parole «avremo più petrolio e meno clandestini». Anni lontani ma molto vicini. Perché tutti i governi che si sono poi succeduti – da quello tecnico guidato da Mario Monti all’attuale esecutivo di larghe intese di Enrico Letta – hanno perseguito più o meno la stessa politica, tanto che solo pochi giorni fa il ministro degli interni Alfano ha fatto sapere che «lavoreremo con la Libia per cercare di arginare il fenomeno dell’immigrazione clandestina». E perché l’Europa continua a tenere saldamente chiuse le frontiere sud, mentre sperimenta un regime di libera circolazione con i vicini orientali, ritenuti forse meno pericolosi delle masse di diseredati neri che si riverserebbero da noi secondo una visione politica che non tiene conto del fatto che via mare arrivano solo richiedenti asilo e rifugiati in fuga e che i migranti economici mirano ormai a mete più appetibili di un’Europa in recessione ripiegata su se stessa.
«Il Mediterraneo è sempre stato un crocevia di scambi e di sviluppo. È stato trasformato in una fossa comune. Questo ha voluto denunciare il Santo padre», dice il sindaco Giusi Nicolini, affaticata ma visibilmente contenta.

All’inizio del suo mandato, nell’estate dell’anno scorso, la combattiva prima cittadina dell’isola aveva mandato una lettera-appello all’Unione europea in cui – all’indomani dell’ennesimo naufragio e del ritrovamento di undici cadaveri – scriveva: «Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra». Per poi aggiungere: «Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente.

Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore».
La visita di Papa Bergoglio è una risposta più che eloquente alla lettera di Nicolini. Quella risposta che i politici non hanno mai dato, per ignavia, per malafede o per incapacità. Chissà se nei prossimi giorni qualcuno a Roma o a Bruxelles raccoglierà la sfida lanciata dal Papa e cercherà di invertire la rotta e contrastare quella «globalizzazione dell’indifferenza» denunciata con tanta forza dall’avamposto più meridionale della fortezza Europa.