L’India va su Marte e gli altri stanno a guardare. Questo il senso del 5 novembre 2013, un giorno destinato a entrare nella storia del paese grazie al successo della Mission to Mars, il lancio del satellite Mangalyaan (veicolo di Marte, in lingua hindi) riuscito senza intoppi dalla base di Sriharikota, al largo della costa orientale dell’Andhra Pradesh.

Si tratta di un successo tutto indiano, dalla progettazione alla realizzazione, architettato in tempo di record dagli scienziati dell’Indian Space Research Organization (Isro) in soli 15 mesi dall’annuncio magniloquente del primo ministro Manmohan Singh datato 15 agosto 2012. Singh, in diretta dal Red Fort della capitale Delhi – un tempo residenza residenza imperiale Moghul – dava il via libera alla prima impresa interplanetaria indiana, pagata “solo” 70 milioni di dollari. Agli americani ne sono serviti sei volte tanto.

L’operazione spaziale «low cost», parafrasando i lanci di alcune agenzie americane, ha l’obiettivo di cercare residui di metano sulla superficie di Marte, potenziale indicatore di vita sul pianeta. Secondo le previsioni, il satellite indiano raggiungerà l’atmosfera marziana il prossimo 24 settembre, ma già da oggi il messaggio mandato in orbita da Delhi ha raggiunto tutti i bersagli nel mirino del soft power indiano.

Prima di tutto il Pakistan, che nel giro di due anni ha assistito per ben due volte allo sfoggio muscolare della tecnologia indiana. Nell’aprile del 2012 l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Ricerca della Difesa (Drdo) indiana aveva lanciato con successo Agni-5, un missile con gittata maggiore di 5.000 km in grado di trasportare ordigni nucleari, allargando sensibilmente il raggio d’azione militare del paese. Come si twittava malignamente nella mattinata di ieri, l’India va su Marte mentre Islamabad litiga ancora su come gestire la fazione talebana autoctona.
Il secondo obiettivo è la Cina, superata questa volta nella gara alla conquista dello spazio. Nel 2011 Pechino provò a lanciare il suo satellite Yinghuo-1 su Marte, fallendo miseramente. Un’occasione per scrollarsi di dosso – almeno momentaneamente – il pesante complesso di inferiorità nei confronti di Pechino che Delhi non si è lasciata scappare. Come annunciato in tono quasi marziale dal commentatore del canale Ndtv, il viaggio «from the Red Fort to the Red Planet» è iniziato.

La risposta gelida di Pechino non si è fatta attendere. In un comunicato stampa il portavoce degli Esteri Hong Lei ha precisato che «lo spazio aperto è condiviso dall’umanità intera. Ogni paese ha il diritto di esplorarlo ed usarlo pacificamente» ma la comunità internazionale deve impegnarsi «nel mantenimento della pace e dello sviluppo sostenibile dello spazio».

L’India entra così nel club delle potenze mondiali in grado di avvicinare Marte, assieme a Usa, Russia e Unione Europea; Giappone e Cina hanno fallito e gli indiani sono ora i primi in Asia a superare la complessa fase di lancio, gestita dalla torre di controllo di Sriharikota da un team di scienziati in silenzio religioso per 40 minuti, tanto è servito per essere certi che tutto andasse secondo i programmi.

Intorno alle 15:15 ora locale, quando l’applauso degli scienziati ha dato il via alla passerella di messaggi di felicitazione, il primo a congratularsi con il responsabile della missione, il dottor Unnikrishnan, è stato proprio il primo ministro Manmohan Singh, in contatto telefonico col centro di comando.

Pochi minuti prima, in spregio alle regole non scritte della scaramanzia, il candidato premier dell’opposizione, Narendra Modi, aveva provato a rubare il palcoscenico al governo, salutando la riuscita – ancora non ufficiale – della missione come il lancio dell’India «verso nuove vette».
La missione Mangalyaan in verità era stata accolta molto tiepidamente dall’opinione pubblica, arrivando in uno dei periodi più difficili affrontati in tempi recenti dall’economia indiana. L’inflazione galoppante, la rupia in caduta libera fino a poche settimane fa e la crescita che arranca intorno al 5 per cento avevano oscurato le priorità dell’ego nazionale.

Ma 70 milioni di dollari per salire su Marte e guardare tutti dall’alto al basso, per Delhi, sono stati soldi ben spesi.