Sabato 15 e domenica 16 ottobre si è svolto il summit dei paesi Brics ospitato dall’India a Goa, alla presenza dei leader di Brasile, Cina, Russia e Sudafrica. Le cicliche riunioni del gruppo più noto dei paesi in via di sviluppo tradizionalmente non hanno mai un’agenda monotematica o un obiettivo comune definito, ma in quest’ultima edizione New Delhi ha cercato con insistenza di dirottare il gruppo dei cinque sulla propria personalissima battaglia contro Islamabad.

In seguito all’attacco terroristico condotto da un commando pakistano contro la base militare di Uri, Kashmir indiano, il mese scorso, Narendra Modi ha intrapreso misure di politica estera ad hoc – tra cui i celebri «attacchi mirati» oltre la Linea di controllo – con l’obiettivo di isolare completamente Islamabad a livello internazionale, accusata di sostenere e foraggiare il terrorismo islamico nella regione.

Una missione che se nell’ambito dei paesi vicini ha già raggiunto risultati tangibili come la cancellazione del meeting dei paesi Saarc (organizzazione dei paesi dell’Asia meridionale) previsto per il mese di novembre a Islamabad, trasposta a livello Brics, ha mostrato tutta la miopia geopolitica di New Delhi, troppo debole per imporre un ostracismo internazionale a pesi massimi internazionali come Vladimir Putin o Xi Jinping o per convincere chiunque, fuori dall’Asia meridionale, che il problema Pakistan sia davvero di portata mondiale.

In due giorni di summit Narendra Modi ha più volte attaccato il Pakistan, senza mai nominarlo, descrivendolo via via come la «nave madre del terrorismo internazionale», Stato che considera il terrorismo «il proprio figlio prediletto» e punto di snodo del «terrorismo internazionale». Lo ha fatto davanti alla Russia, appena reduce dalla prima esercitazione bellica congiunta col Pakistan (in territorio pakistano), e alla Cina, che negli ultimi mesi ha bloccato all’Onu il riconoscimento di Masood Azhar (fondatore di Jaish-e-Mohammad, cellula terroristica responsabile, secondo New Delhi, dell’attentato di gennaio alla base di Pathankot, nel Punjab indiano) come «terrorista internazionale» e la richiesta indiana di entrare a far parte del Nuclear Suppliers Group, organizzazione transnazionale contro la proliferazione delle armi nucleari.

Un tentativo di prova di forza che, seppur osannato dalla stampa ultranazionalista locale con titoli del tenore di «Modi slams Pakistan against Brics wall», nell’obiettivo di spostare Pechino e Mosca contro Islamabad ha miseramente fallito.

La Cina in particolare, che con Islamabad intrattiene fruttuosi rapporti commerciali e proietta un’aura di influenza che rende di fatto il Pakistan lo «sbocco cinese» sul Mar d’Arabia, si è limitata a ribadire l’impegno del gruppo contro il «terrorismo internazionale», auspicando che gli scontri bilaterali che coinvolgono i membri dei Brics e paesi terzi possano essere risolti attraverso il dialogo nelle sedi regionali preposte, citando appunto il Saarc e la Shanghai Cooperation Organization (Sco), organizzazione politica, economica e militare presieduta dalla Cina che l’anno prossimo accoglierà due nuovi membri permanenti: India e Pakistan.

La Russia si è limitata a denunciare l’attentato di Uri senza andare oltre, preferendo lodare i rapporti commerciali bilaterali tra Mosca e New Delhi che, a latere del summit, si sono arricchiti di progetti e memorandum d’intesa per 6 miliardi di dollari tra commesse per armamenti e piani di sviluppo infrastrutturale in India.
Brasile e Sudafrica, presumibilmente, hanno assistito per due giorni a un fuoco incrociato di provocazioni che li vede assolutamente estranei e disinteressati.