A metà marzo il ministro della sanità Harsh Vardhan cantava vittoria certificando che l’India fosse ormai praticamente fuori dal tunnel della pandemia. I dati aggregati del mese di febbraio erano incoraggianti: 11.000 nuovi casi di Covid19 al giorno, le morti mai sopra quota cento. Su una popolazione di 1,3 miliardi di persone, arrotondati per difetto, parlare di «miracolo» non sembrava affrettato.

NELLE ULTIME 24 ORE, secondo il ministero della sanità indiano: 273.810 nuovi casi, 1619 morti. Ma in un Paese dove l’approssimazione dei dati è la regola tanto in economia quanto nella demografia, la vera misura del disastro in corso in India si può provare a misurare segnando la distanza che divide l’aritmetica ufficiale del Covid19 dalla situazione sul campo. La testata indipendente online Scroll.in ieri mattina ha raccolto alcune fotografie, corredate da didascalie, postate sui social network: una, scattata il 18 aprile a Ghaziabad – nello stato dell’Uttar Pradesh ma, sostanzialmente, hinterland di New Delhi – mostra una fila di cadaveri avvolti in panni bianchi disposti lungo un marciapiede vicino al terreno di cremazione locale; la didascalia ci informa che secondo le autorità locali, dall’inizio di aprile a Ghaziabad ci sono stati due morti di Covid.

ALTRE TESTIMONIANZE raccolte dai media locali parlano di decine di ambulanze in coda fuori dagli ospedali, in attesa che si liberino, in un modo o nell’altro, posti letto per accomodare nuovi malati di Covid19; degenti morti perché gli ospedali hanno finito le bombole d’ossigeno e i farmaci antivirali, alimentando il mercato nero parallelo. Mettere insieme racconti e immagini da nord a sud, passando dalle megalopoli di New Delhi e Mumbai, significa comporre un mosaico di un Paese ormai prossimo al collasso.
L’eccezionalismo indiano – paese giovane e forte dove il Covid non è dilagato, si diceva – si è rivelata l’ennesima panzana ultranazionalista propinata dalle autorità ai propri cittadini e al resto del mondo.

India. @Ap

I MEDIA PARLANO di una «seconda ondata» eccezionale, caratterizzata da una variante del virus individuata nello stato del Maharashtra a fine febbraio capace di diffondersi molto più capillarmente della precedente e portatrice di sintomi gravi anche nelle fasce d’età più basse; ma il chief minister di Delhi quando ieri ha annunciato un nuovo lockdown di una settimana per la capitale – per far fronte a un tasso di positività dei tamponi pari al 30 per cento e a 23mila nuovi casi nella capitale in sole 24 ore – ha parlato di misure per combattere questa «quarta ondata».

CHE SI TRATTI della seconda o della quarta, è certo che l’avanzare del virus nel secondo Paese più popoloso del mondo sta innescando una serie di reazioni a catena destinate a influenzare, in peggio, non solo la popolazione indiana. La campagna vaccinale, tra le più imponenti al mondo, è riuscita a somministrare la prima dose di uno dei due vaccini indiani – Covishield, la produzione autoctona della ricetta di Astrazeneca, e l’indiano Covaxin – a oltre 100 milioni di persone. Ma dai ritmi iniziali di tre milioni di dosi al giorno, sta rallentando, facendo emergere problemi strutturali e logistici finora drammaticamente sottostimati.

IL SERUM INSTITUTE of India di Pune, il più grande produttore di vaccini al mondo e fornitore del Covishield, da mesi aveva chiesto al governo un sostegno economico sul medio termine che avrebbe permesso di ampliare la potenza di stoccaggio di fiale. Sostegno negato da New Delhi, che nel frattempo ha dato l’ok all’importazione dello Sputnik – che sarà somministrato da maggio – e bloccato tutte le esportazioni del vaccino Astrazeneca prodotte dal Serum Institute. In poche parole: ogni fiala prodotta in India, per il governo Modi, deve rimanere in India. Questo sovranismo vaccinale, applicato al principale produttore di siero al mondo, non solo ha disatteso le promesse fatte a partner e alleati regionali – Nepal, Sri Lanka, Myanmar… – ma ha di fatto azzoppato fino a data da destinarsi il programma Covax. Si tratta del programma con cui l’Oms si impegnava a distribuire il vaccino a prezzi calmierati ai paesi in via di sviluppo rimasti fuori dagli accordi siglati dalle case farmaceutiche con i paesi più ricchi.

GRAN PARTE DELLE FIALE del programma Covax dovevano essere prodotte proprio al Serum Institute di Pune. Il direttore dell’Africa Centers for Disease Control and Prevention, John Nkengasong, ha dichiarato a Reuters che un ritardo di consegne dei vaccini indiani in Africa sarebbe «catastrofico».
Mentre tutto il Paese, alla spicciolata, corre ai ripari con lockdown di varia entità e durata – totale e di una settimana a Delhi e in diverse località dell’Uttar Pradesh – il primo ministro Modi ha annunciato che dal primo maggio chiunque abbia compiuto 18 anni potrà richiedere la somministrazione del vaccino.