Il «finimondo». Renato Brunetta definisce così l’eventuale cambio della guardia a palazzo Chigi. Si spinge a un millimetro dal tifare apertamente per il premier ancora in carica. Maledice il ribaltone con toni tanto accesi che pare quasi che il disarcionato sia l’amato capo invece che il vituperato Letta. Soprattutto mette sul piatto della bilancia le riforme: «Dove andrebbero a finire con un governo Renzi?». Insomma, stavolta Fi nemmeno ci prova a mascherare il terrore.

Quel che Berlusconi teme è semplice: un governo in carica per anni. Se non proprio il finimondo, la fine del suo mondo, o almeno della sua strategia. Anche le inquietudini esplicitate da Brunetta sulla sorte delle riforme sono abbastanza sincere. «Una volta diventato premier vedrai che sulla legge elettorale quello diventa ancora più lento di Letta», si ripetono i forzisti smarriti. Anche perché sanno (lo scrive oggi su Panorama Keyser Soze, pseudonimo di Augusto Minzolini) che su alcuni passaggi della legge elettorale e sull’intero impianto della riforma del senato Giorgio Napolitano nutre fortissimi dubbi.

Di qui l’allarme rosso che campeggia in queste ore ad Arcore e dintorni. Le paure, però, non spingeranno Silvio Berlusconi a denunciare l’accordo sulle riforme. Anche i forzisti più agguerriti ammettono che sarebbe un passo fatale. A quel punto tutti i consensi che Berlusconi ha recuperato dal giorno fatidico dell’incontro con Renzi franerebbero, seppellendo lui, il suo partito e i sogni di vittoria elettoral.
In mezzo a tanto cupo pessimismo, un raggio di sole e di speranza Berlusconi però lo vede. Ha le fattezze non proprio solari di Carlo Giovanardi o chi per lui: Lupi, Casini, lo stesso Alfano… Governare con loro per Renzi sarà un inferno, e il sindaco, segretario nonché quasi premier se ne accorgerà presto a proprie spese.

I giornali continuano a parlare di governo di legislatura, assicurano che se Renzi arriverà a palazzo Chigi cercherà di restarci a lunghissimo. Il diretto interessato lascia dire, autorizza con qualche mezza frase la convinzione generale, anche perché è solo in nome di una possibile sopravvivenza sino al 2018 che gli alleati fedeli hanno scaricato Letta (un tipo di cui fidarsi quell’Angelino!). Però personalmente non si espone affatto.

La strategia che illustra qualcuno degli intimi, anzi, è ben diversa. Sostituire Letta, perché lasciarlo a palazzo Chigi vorrebbe dire farsi logorare dai suoi fallimenti, mentre gli eventuali successi andrebbero tutti a suo merito. Ma certo non per vegetare a braccetto con Giovanardi e il fedele Alfano per anni. Il progetto sarebbe casomai quello di aspettare sino al varo della riforma istituzionale e poi, nella primavera 2015, cogliere la prima occasione di contrasto nella maggioranza per correre alle urne. Di certo con alleati del genere non sarà difficile trovare un casus belli, tanto più che la rottura entusiasmerebbe il popolo del centrosinistra.

Neppure questo scenario, che giustamente considerano probabile, basta però a rasserenare lo stato maggiore berlusconiano. C’è un ulteriore spettro dietro l’angolo: «Renzi potrebbe partire con questa maggioranza, con la quale difficilmente andrà lontano, e poi sostituirla in corsa, dopo un po’, con Sel e con un po’ di fuoriusciti grillini». Con una maggioranza di quel tipo, il sindaco potrebbe davvero essere tentato di completare la legislatura: per Berlusconi una condanna senza appello e senza possibilità di grazia. Di questo pattuglione di dissidenti 5S, per la verità, si parla sin dal primo giorno dopo il voto ma sinora se ne è visto poco. A volte però anche i fantasmi si materializzano, e solo a pensarci i patemi d’animo, per Silvio, ripartono più devastanti che mai.