Gaza precipita nella paura coronavirus, dopo che per mesi la pandemia è stata efficacemente tenuta sotto controllo. Da marzo ad oggi solo un centinaio di casi positivi, tutti provenienti dall’estero e immediatamente confinati nei centri speciali di quarantena allestiti ai valichi di Rafah, con l’Egitto, e di Erez con Israele. Poi due giorni fa si è appreso che una leggerezza commessa da funzionari del ministero della sanità di Gaza, incaricati di gestire gli ingressi e le quarantene ad Erez, ha portato per la prima volta a contagi non collegati ad arrivi dall’estero. Le conseguenze potrebbero rivelarsi gravi. Gli ospedali di Gaza, segnati da anni di blocco israeliano, guerre, elettricità intermittente, scarsità di macchinari e farmaci salvavita, senza personale specializzato, non sono in grado di reggere l’urto di ricoveri di massa. Le terapie intensive disponibili e i respiratori sono poche decine. L’allarme coronavirus giunge mentre si vive un nuovo periodo di forte tensione con Israele. Negli ultimi 12 giorni le forze aeree e l’artiglieria di Israele hanno martellato Gaza in risposta al lancio di palloncini incendiari e di razzi da parte dei palestinesi. E sono anche tornate le proteste di centinaia di persone contro il blocco lungo le barriere con Israele.

 

Lockdown a Gaza (foto GazaPost)

 

«A Gaza in queste ore non si parla altro che del coronavirus e dell’errore commesso ad Erez» ci dice Yusef Hammash, un reporter locale «tutto è cominciato martedì della scorsa settimana, quando una donna, diretta a Gerusalemme per assistere la figlia ricoverata all’ospedale Makassed, ha raggiunto il lato israeliano del valico di Erez dove, con ogni probabilità, è rimasta contagiata». Le guardie di sicurezza israeliane l’hanno rispedita indietro perché il suo permesso di transito non era ancora attivo, convocandola per il giorno dopo. «Qui c’è stato l’errore da parte palestinese» aggiunge il giornalista «secondo il protocollo attuato dal governo sin da marzo, la donna non sarebbe dovuta tornare a Gaza ma fermarsi nella struttura per la quarantena ad Erez. Invece è stata autorizzata ad andare a casa ad Al Maghazi. In quelle poche ore ha contagiato la famiglia». La positività della donna è stata accertata dopo il suo arrivo al Makassed, grazie al tampone di routine per l’ingresso in ospedale. «Il risultato non è giunto subito» prosegue Hammash «nel frattempo la famiglia della donna ha proseguito la sua vita normale ad Al Maghazi, dove potrebbe aver contagiato tante persone». Ieri sera si attendevano i risultati dei tamponi effettuati su decine di clienti del supermercato “Nada” di Deir al Balah regolarmente frequentato dalla famiglia contagiata.

 

Lunedì sera il governo di Hamas ha proclamato 48 ore di lockdown totale e misure speciali di isolamento per il campo profughi di Al Maghazi. E sta valutando la possibilità di prolungare la chiusura per altre 24 ore. Ma un coprifuoco più lungo è da escludere perché la popolazione è stremata dal caldo e dalla mancanza nelle case di energia elettrica (stop a ventilatori e condizionatori). Inoltre non ha avuto il tempo di rifornirsi di generi di prima necessità a causa del lockdown giunto all’improvviso.

 

Resta preoccupante intanto la situazione tra i tre milioni e mezzo di palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est dove ieri si sono registrati 585 nuovi positivi e tre decessi (140 in totale da marzo).