Stavolta il doppiopetto che da settimane il Cavaliere indossa, per la disperazione dei falchi che lo vorrebbero in tuta mimetica, rischia di scoppiare, tanta è l’ira funesta che gonfia il torace del condannato. Mentre appronta le valige alla volta della capitale, con in agenda l’incontro con i suoi parlamentari, vaticina disastri, minaccia sfracelli, schiuma rabbia. Udienza di cassazione il 30 luglio, prima di subito. Previsioni ottimistiche basate su una mezza prescrizione attesa per settembre vanificate. Decadenza e incandidabilità alle porte. Ecco la dimostrazione inoppugnabile del disegno cavaliericida. Lo dicessero chiaramente, e non sperassero di trovarmi buono buono a farmi massacrare.
Il bello è che, sino a un attimo prima dell’esplosione, Berlusconi si era preparato a tutt’altro clima. Arrivava deciso a sedare gli umori bellicosi e rimbrottare gli incauti che si erano allargati contro Saccomanni. Era pronto a ordinare un perentorio cessate il fuoco, sbandierando corpose motivazioni politiche: la possibilità di ottenere una vittoria piena sul fronte dell’Imu e dell’Iva (che invece non è a portata di mano), il rischio di una maggioranza alternativa con i dissidenti grillini (che effettivamente è dietro l’angolo).
Mezze verità. L’argomento che più di ogni altro sconsiglia la crisi è di altra natura. Fruscia come un bel mucchio di bigliettoni. Riguarda la recente impennata degli introiti pubblicitari e la convinzione che quel fiume di pubblicità si inaridirebbe di colpo se Silvio la colomba cedesse il passo al cavaliere armato. «Qui gli parli di politica e ti rispondono che c’è un 3% di pubblicità in più», sbotta sincero un deputato pidiellino.
Dai feldmarescialli all’ultimo dei fanti, i soldati di Arcore, deputati e senatori vari, aspettano un segnale facendo rullare i tamburi di guerra più di come non si può. Per riassumere la messe di dichiarazioni fiammeggianti non basterebbe un intero dizionario dell’improperio politico e della denuncia iperbolica. Golpe di stampo egiziano, persecuzione pluridecennale, scempio della democrazia, Paese preso in ostaggio dai togati, giustizia mutata in mostro incontrollabile. Di tutto, di più. Gli stessi ministri Pdl rumoreggiano e e persino Alfano, che quanto a governismo supera Letta, pigola una sarcastica protesta: «Lieto di constatare lo straordinario miglioramente nelle prformace della cassazione. periamo valga per tutti»
Gli avvocati Coppi e Ghedini forniscono il supporto tecnico. Così, lamentani, si colpiscono le possibilità della difesa, si impedisce di spulciare le carte cercando appigli nuovi. Si danneggia a freddo l’imputatissimo.
Quanto alle reazioni possibili, però, i furibondi non vanno oltre le idee buttate là a casaccio. Tanto non starà a loro decidere: inutile che si spremano le meningi più che tanto. Daniela la Pitona chiede di «passare all’azione». Bondi e Capezzone concordano ma specificando che deve trattarsi di azioni non violente. La Biancofiore chiedere al governo di varare per decreto la riforma della giustizia già nel prossimo consiglio dei ministri. Quando si dice avere il senso della realtà.
Le divisioni restano tutte, solo che per scoprirle ci vuole il lanternino. Il Cicchitto che denuncia il «tentativo di destabilizzare il governo» è cosa ben diversa dal Brunetta che reclama la riforma della giustizia subito. Di certo, però, saranno i duri ad avvantaggiarsi delle reazioni del Pd, che letteralmente fa finta di niente e lascia parlare solo le seconde file. Identico discorso per Letta che prima della sentenza sfodera l’ottimismo di prammatica («Nessun ricasco sul governo»), ma dopo a porte chiuse si confessa preoccupato assai. Benzina sul fuoco anche la gelida reazione del presidente dell’Anm Sabelli: «Nessuna persecuzione. Abbiamo solo applicato le regole».
Così il cavaliere trafitto si ritrova alle prese con l’eterno, insolubile dilemma. Le motivazioni che gli consigliavano prudenza ci sono ancora tutte. Solo che da ieri anche le voci opposte hanno acquistato il medesimo valore. La decadenza è dietro l’angolo: se il Senato non voterebbe a favore dell’ineleggibilità, si esprimerà invece certamente per la decadenza. E in quel caso gli introiti pubblicitari di Mediaset rischiano di precipitare non del 3% ma del 33%.