Le radici di quel pensiero europeo rivolto alla Grecia come ad un paese arretrato e sostanzialmente inabile a occuparsi del proprio passato risalgono a ben prima degli “aiuti” della Troika. Quantomeno al Sette e Ottocento, quando facoltosi privati con la passione per la cultura antica finanziarono di tasca propria scavi archeologici, sostenendo tesi quali, ad esempio: «L’antichità è un giardino che appartiene a coloro che ne coltivano i frutti».

La “mania” da antica civiltà – una vera e propria predazione coloniale – portò al trasferimento a Londra di parte dei marmi del Partenone o dell’obelisco di Luxor a Parigi. Capitava che nei paesi che erano stati scenario di civiltà gloriose si aprissero occhi fulgidi, come quando nel Cinquecento a Roma era stato ritrovato il complesso scultoreo del Laocoonte, oppure quando nel 1738 e nel 1748 si riscoprirono Ercolano e Pompei.

Le guerre napoleoniche resero poco invitante l’Italia, così la passione crescente di esploratori inglesi, tedeschi e francesi, seguiti poi dalla seconda metà dell’Ottocento dagli americani, si rivolse alla Grecia. Atene fu il punto iniziale, ma seguirono la città di Olimpia, Delo, Creta e così via. Un a caso a sé fu quello di Delfi, centro religioso e cuore dell’antico culto al dio Apollo, il sovrano del sole, della fertilità, della vita.
Ne ricostruisce la storia Michael Scott, docente all’università di Warwick, in un saggio che recentemente Laterza ha ripubblicato in una bella edizione economica. Titolo: Delfi. Il centro del mondo antico. La tradizione racconta di un pastore che portava le bestie a pascolare su un pianoro, alle pendici del monte Parnaso, nei pressi di un crepaccio notava che esse si inebriavano. Ben presto altre persone capirono che qualcosa pulsava dentro la terra e venne costruito un luogo di culto alla dea Gea (VIII sec. a. C.), in seguito sostituita dal santuario al dio Apollo, laddove vaticinava una sacerdotessa, la Pizia. Attorno a questo si costruì una vera e propria città nella quale si celebravano grandi giochi. Altre località della Grecia che avevano avuto fortuna economica o commerciale pagavano tributi per costruire tempietti che andavano sotto il nome di «tesoro», omaggi alla benevolenza del dio e dell’oracolo. Bere le acque della fonte Castalia, dedicate alle Muse, faceva diventare poeti.

L’abolizione dei culti pagani imposta da Roma nelle province dell’impero a partire dalla fine del Trecento portarono alfine ad un lungo abbandono. Dal XV secolo i visitatori che raggiungevano il Parnaso vi trovavano pochi resti desolanti: il muro di cinta dell’aria sacra e le case di alcune centinaia di abitanti, pastori e piccoli artigiani, che nel corso dei secoli avevano costruito un villaggio, Castri. Quando ci si rese conto che lì sotto probabilmente riposavano i resti di statue, aurighe e colonnati, archeologi e appassionati europei iniziarono un’estenuante trattativa cogli abitanti e con lo stato greco, in formazione dopo l’indipendenza dalla Turchia e un ingresso stegosaurico nella modernità. Grazie ad un sostegno astronomico assicurato dal governo francese, nel 1889 iniziarono gli scavi che restituirono alcuni segni della magnificenza di quell’antico sito che oggi possiamo andare ad ammirare.