Secondo lo scrittore Aldous Huxley «il segreto del genio è portare lo spirito del bambino nella vecchiaia. Significa mai perdere l’entusiasmo». Questo vale per diverse star della musica che hanno prodotto alcuni dei loro migliori lavori oltre quello che una volta sarebbe stato considerato il tempo massimo. Ecco una piccola discografia ragionata di opere frutto di artisti over 70.
American IV: The Man Comes Around (Johnny Cash, 2002). Quando «The man in black» incontrò il produttore Rick Rubin era una leggenda della musica americana che sembrava una reliquia. Sotto la guida di Rubin, nonostante le sue condizioni di salute andassero via via peggiorando, Johnny Cash produsse alcune delle registrazioni più memorabili di una carriera iniziata negli anni ’50. Il quarto disco delle American Recordings – uscito quando Cash aveva 70 anni – è forse il più bello e regalò al cantante uno dei suoi più grandi successi discografici consacrando ancora di più il suo mito.
Van Lear Rose (Loretta Lynn, 2004). Nonostante fossero fratelli di sangue, il country e rock sono spesso stati divisi da una barriera. Lynn ha dovuto passare i 70 anni per farsi pienamente apprezzare al di là dello steccato. Il merito è di Jack White, ex anima dei White Stripes e fan di lunga data di Loretta Lynn, che ha lavorato con lei per un disco che è stato osannato dalla critica di ogni sponda e ha introdotto Loretta a una nuova generazione di fan, non solo negli stati Dixie. «Jack temeva di ammazzarmi di troppo lavoro – ha detto Lynn – ma ignorava che io lavoro sempre». Emblematico il singolo Portland Oregon, la storia di un’avventura amorosa di una notte cantata a due voci. Sembra un duetto tra due ragazzini, ma a cantare sono una bisnonna e un uomo di 43 anni più giovane di lei.
Locked Down (Dr. John, 2012). Nato a New Orleans nel 1940 il bluesman soprannominato Night Tripper (viaggiatore notturno) ha conosciuto una seconda giovinezza in età avanzata quando dopo essersi ripulito dalle cattive abitudini è tornato a essere la voce delle tradizioni musicali della sua città.
Nel 2011 Dr. John è entrato a far parte della Rock Hall of Fame, ha poi collaborato con Dan Auerbach dei Black Keys producendo un disco profondamente radicato nell’universo musicale della Big Easy e ricchissimo di atmosfere r&b, arrangiamenti psichedelici, ritmiche grintose, atmosfere vintage e blues accattivanti.
Tempest (Bob Dylan, 2012). Nel 1965 lo accusarono di essere un traditore. Nel 1972 alcuni suoi ex fan celebrarono il suo funerale sotto le finestre di casa sua perché ormai per loro era morto. Negli anni ’80 scrissero che ogni suo nuovo album era un insulto al suo mito. Dal 2000 a oggi ha vinto un Oscar, 5 Grammy Awards e il Premio Nobel per la letteratura. Bob Dylan ha sconfitto i critici e il tempo, creando anche col passare degli anni e con l’abbassarsi della voce una serie di lavori fondamentali. Il suo ultimo album di canzoni originali, Tempest, pubblicato quando Dylan aveva 71 anni è vitale, magico e misterioso come sempre.
«Il mio nemico è crollato nella polvere», canta in un brano, quasi a ricordare a chi lo osannò per poi disprezzarlo che il tempo ha scelto il suo vincitore.
Popular Problems (Leonard Cohen, 2014). Nelle biografie di Leonard Cohen, scomparso lo scorso 7 novembre a 82 anni, una parola non comparirà mai: declino. Il cantautore canadese, dopo i 65 anni ha avuto un’eccezionale periodo creativo sfornando dal 2001 fino alla sua morte cinque album tutti di straordinaria intensità e destinati a diventare classici. Popular Problems è uscito in occasione del suo ottantesimo compleanno, contempla la vecchiaia non come resa ma come traguardo, riflette sul mondo di oggi con amarezza e lucidità e celebra la gioia dell’artista nella conclusiva You Got Me Singing.
Paltry Fiction (Harry Dean Stanton, 2013). È l’esordiente più vecchio del mondo. Caratterista americano noto più per il suo volto che per il suo nome, Harry Dean Stanton, dopo anni di esibizioni musicali amatoriali, ha deciso di debuttare su disco alla verde età di 87 anni realizzando, chitarra e voce, la colonna sonora di un documentario a lui dedicato. Ha detto di lui il regista David Lynch che lo ha diretto in diversi film: «Ha una delle voci più belle che abbia mai sentito. Canta con l’anima. Mi apre il cuore e mi commuove».
Soused (Scott Walker, 2014). Americano di nascita, ma inglese d’adozione, Scott Walker è stato un idolo pop nella Londra degli anni ’60. Una voce baritonale e alcune facili melodie gli regalarono diverse hit. Ma la sua rinascita artistica è arrivata con la terza età quando si è scoperto avanguardista e sperimentatore musicale. In Soused collabora con la band di metal sperimentale Sun O))) per un viaggio musicale inquietante e micidiale. L’album più estremo mai dato alle stampe da un ultra settantenne.
That’s why God Made the Radio (Beach Boys, 2012). A cinquant’anni da Pet Sounds e dopo 18 anni di silenzio i ragazzi della spiaggia Brian Wilson, Al Jardine, Bruce Johnston e Mike Love, tutti over 70, sono ritornati insieme a fare quello per cui la storia li ricorderà: melodie pop che rasentano la perfezione. In quel mezzo secolo che li separa dal loro capolavoro c’è stato di tutto: abusi di ogni tipo, morti (Dennis e Carl Wilson), divisioni, litigi, scontri legali, ricoveri in ospedali psichiatrici. Ma i Beach Boys nella loro musica non hanno mai portato la realtà, ma il sogno di perfezione e la perenne innocenza della melodia. L’album li ha visti rientrare nella top 10 statunitense dopo 49 anni di assenza.
The Long Lost Suitcase (Tom Jones, 2015). Un interprete che ha conosciuto il suo più grande successo commerciale alla soglia dei 60 anni con l’onnipresente tormentone Sex Bomb. La carriera del cantante gallese Tom Jones è esplosa quando per molti inizia la pensione.
Negli ultimi anni ha stretto un sodalizio con un talentuoso produttore di tre decadi più giovane di lui, Ethan Jones, che ha messo la possente e inconfondibile voce di Sir Tom al servizio di un repertorio che spazia da i classici del rock alla canzone d’autore. Un connubio che ricorda la collaborazione tra Jonny Cash e Rick Rubin. L’ultimo album della serie, vede un 75enne Jones tuffarsi nel passato senza nostalgia ma dando nuova linfa a un repertorio che alterna vecchi country a blues e soul, compresa una Factory Girl degli Stones di fine anni ’60 che non ricordavamo così intensa.
Stranger to Stranger (Paul Simon, 2016). Aver raggiunto i 75 anni non ha impedito al piccolo grande uomo del pop americano di continuare a sperimentare con sonorità nuove, ritmiche e strumentazioni originali ampliando gli orizzonti della sua musica. Come nelle sue opere più importanti, Paul Simon apre l’atlante della musica e mette al servizio delle sue composizioni le suggestioni più diverse creando una sintesi perfetta. Stranger to Stranger, salutato come uno dei migliori album dell’anno, sta al pari della sua produzione giovanile, ma è (verrebbe da dire purtroppo) assai più avanti di molta produzione giovanile di oggi.