Un rullo di tamburo improvviso, mischiato a un limpido canto femminile. La luce in sala al teatro Zandonai di Rovereto non è ancora pienamente abbassata, quando il suono, potente, inatteso, arriva all’orecchio come un fiume in piena. Quasi una metafora sonora di quel risveglio dello spettacolo dal vivo di cui si sente più che mai l’esigenza.

LO SGUARDO si tende, allertato e incuriosito, verso la scena dove una grande croce è appoggiata a terra, al centro. Danzatrici chine, il capo coperto da un’antica cuffietta, le gonne lunghe, tenute ampie dalla crinolina, rapidamente cammineranno in cerchio come se avessero pattini ai piedi, prima di far ruotare per la scena la croce tirandola con spesse corde fino a farla sparire. Che inizio.

È l’apertura della prima assoluta di Sonoma, titolo chiave dell’edizione 2020, la quarantesima, del festival Oriente Occidente di Rovereto ribattezzato quest’anno Oriente Occidente Dance Festival e diretto con attenzione indefessa da Lanfranco Cis. 70 eventi, 150 artisti da tutta Europa, nonostante le difficoltà del periodo, un vero festival.

AUTORE di Sonoma è Marcos Morau, 38 anni, coreografo, regista, fotografo, visionario artista a tutto campo, che ha portato a Rovereto il suo collettivo di Barcellona La Veronal, che fondò da giovanissimo nel 2005. Nel titolo dello spettacolo l’unione di soma, che in greco significa corpo, e di sonum, che deriva dal latino e vuol dire suono, binomio di termini che pulsa da cima e fondo nella danza, nella musica, nel canto, nei testi battenti e percussivi di un lavoro dal trascinante spicco creativo e drammaturgico. Un pezzo in cui Morau torna a Buñuel, a cui già aveva dedicato Le Surréalisme au service de la Révolution, con i tamburi di Calanda sentiti come il grido che scaturisce dalle viscere dell’uomo, i canti folklorici che dalla Russia vanno ai paesi latinoamericani e alla bassa Aragona, le memorie della tradizione gesuita.

NELLA SCENA ombrosa, rischiarata da grandi schermi bianchi e obliqui, la danza collettiva dell’inizio fluisce insieme alle voci e al testo di Carmina S. Belda e Celso Giménez, una variazione infinita di immagini a partire dal primo verso delle beatitudini evangeliche «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati i dispersi, perché ovunque voi siate, qualcuno vi cercherà. Le donne dimenticate nei libri di storia. I corpi che si desiderano, che si trovano… le figlie uniche, le orfane, le streghe, le intoccabili… Il malato, il pazzo, il cieco, perché faranno di necessità virtù».

“Genealogia- Time Specific” di Luna Cenere, foto di Sarah Melchiori

Il suono dei tamburi si mischia a quello delle campane, il ritmo sordo a urla femminili, il canto singolo alla forza del gruppo. Restano impresse le figure con le teste fasciate di nero, i bauli portati in giro come bare in movimento, la luce bianca dei fiori in testa, e, naturalmente, la danza. Morau crea figure di gruppo dalle linee aguzze, le braccia caratterizzate dai movimenti fratti dei polsi, i corpi che si inginocchiano di scatto, bloccati in pose improvvise. Un misto di fragilità e forza che esplode nei corpi femminili fino alla scena con i tamburi: «La Rivoluzione. La chiave di tutte le porte. La tua ultima ora di vita». Formidabile.

TRA GLI ALTRI titoli la prima mondiale di Pontus Lidberg per il Danish Dance Theatre, Centaur, riflessione sul rapporto tra uomo e macchina attraverso un esperimento che ha visto modularsi in scena la mutevole relazione dal vivo tra l’Intelligenza Artificiale e i danzatori, collaborazione del compositore elettronico giapponese Ryoji Ikeda e dell’artista esperta di intelligenza artificiale Cecilie Waagner-Falkenstrøm. Un pezzo articolato nella ricerca, da calibrare meglio nei tempi della struttura drammaturgica.

Finale straordinario con l’evento dedicato a Merce Cunningham, che ha portato allo Zandonai e in una versione site specific la simultaneità di assoli tratti dal repertorio del grande maestro americano e coordinati da Daniel Squire, ex danzatore della compagnia di Cunningham. Un incontro con la luminosità di una visione della danza a cui tornare e ritornare.

Tra i tanti lavori italiani ospiti del festival oltre al debutto di Hyenas di Abbondanza Bertoni, d’impatto la performance con danzatori non professionisti Genealogia-Time Specific di Luna Cenere alla Campana dei Caduti, il curioso Peep Show che ha coinvolto con successo artisti come Michela Lucenti e Valentina Dal Mas, al Mart il riuscito esperimento di Matteo Levaggi Over the Rainbow con oggetti del plurisemico artista Umberto Chiodi.