Ho fatto un sogno. Ho sognato Matteo Salvini, e qui potreste a ragione dirmi: «Guarda che era un incubo». No no, era proprio un sogno e pure bello perché vi avveniva che da oggi al 26 maggio il suddetto vicepremier spariva dal web, dai giornali e dalle televisioni. Paff, dissolto dai notiziari, scomparso dai telegiornali, sparito dalle prime pagine. Sembrava di essersi liberati dal poligono giapponese, pianta sciaguratamente importata dagli inglesi nell’Ottocento e che sta dando imperiosi grattacapi, soprattutto nei paesi del nord, perché è super infestante, si riproduce a velocità supersonica, resiste ai diserbanti, non conosce i parassiti, ostacola la crescita di specie indigene, erode il terreno, aggredisce gli edifici, per tenerla a bada bisogna tagliarla ogni mese per cinque anni e per tutto ciò è ritenuta una delle cento specie più invasive d’Europa.

POI E’ SUCCESSO che mi sono svegliata e, se da una parte ho fatto i complimenti al mio inconscio, dall’altra ho dovuto prendere atto che non ha ancora i poteri della maga Circe, che ogni tanto farebbero davvero comodo. Lui, il sentire profondo, deve essersi detto «Eccheccaspita, mica possiamo cedere così in fretta alla triste realtà», e così la notte dopo si è preso la rivincita e mi ha infilato in un consesso di entomologi, medici e specialisti che osservavano il caso, nella fattispecie il corpo e la mimica dell’aspirante capo popolo, per capire le ragioni della sua presa sul corpo elettorale. Dicevano: «È un batterio pericoloso, dobbiamo somministrare al più presto dei potenti antibiotici». Un altro replicava: «Ma no, è solo una zecca. Un po’ di alcol e se ne va subito». «Guarda che certe zecche possono essere mortali», diceva un terzo. «Propongo di procedere prima a un’analisi attenta dei tratti somatici e della mimica, perché se si tratta di un virus l’unica soluzione è rafforzare le difese immunitarie». Si sono trovati tutti d’accordo e hanno iniziato l’esame.

«DUNQUE – hanno detto – cominciamo con gli occhi. Appannati. Distanti. Palpebra sempre a mezz’asta. Sguardo fisso, opaco, ampiamente e tenacemente inespressivo, non trasmette mai empatia, contentezza, amore, dolore, dolcezza, brilla per distacco emotivo e assenza di scintilla. Denota assenza di curiosità per ciò che non sa e non conosce».
«Avete notato la postura?», ha sottolineato uno di loro. «Le spalle incassate e la gabbia toracica chiusa fanno pensare a respiri affrettati e corti. Ossigena poco e male. Soggetto insicuro».
«E frettoloso – ha aggiunto il primo – Lo si capisce da come cammina. Passo corto e veloce, come di chi ha fretta di arrivare a una meta. Arti superiori con gestualità rotatoria e ripetitiva. Ama somministrare prediche e ammonimenti, ma non gradisce il contraddittorio».
«Già, già – ha meditato il quarto – E infatti guardate la bocca.È lì la chiave del caso. Il labbro inferiore sporge un po’ pendulo, ma è quello superiore a essere più indicativo dei moti interiori. Quando si apre, la bocca si trasforma in una sorta forno. Il tutto conferisce al viso un’espressione schifata, di rigetto, a volte ribrezzo, una specie di ghigno che disprezza tutto ciò di cui parla.È una bocca che sotto ti mangia, sopra ti sputa».

Hanno sospirato, si sono guardati, poi hanno sentenziato: «Quarantena. Caso infetto. Da isolare prima possibile per evitare contagio diffuso». «E come lo curiamo?» ha chiesto il secondo. Gli altri hanno risposto, all’unisono: «Immersione totale nella realtà che il soggetto rigetta. Il luogo ideale è un porto sicuro dove lo tratteranno benissimo. Sta in Libia». E il sogno è finito.

mariangela.mianiti@gmail.com