L’altra faccia del pallone. Mentre il lato luminoso del calcio ci racconta che le italiane in Champions dovrebbero qualificarsi agli ottavi senza patemi, nel dark side of the moon pallonaro arriva la sentenza del Tar del Lazio che conferma la Serie B a 19 squadre, obbligando l’Entella a recuperare le partite non giocate in C. Campionato in cui è costretta dopo che la farsesca sentenza emessa quest’estate per non far perdere la Serie A al Chievo (penalizzazione da scontare nel campionato in corso, e così per il fallito Cesena in B) ha creato l’effetto domino che ha paralizzato la Lega Pro: terra di mezzo pallonara che, tra società fallite a ripetizione, stipendi non pagati e infiltrazioni mafiose, rappresenta il 60% del calcio professionistico italiano e illumina a giorno la faccia oscura di tutto il movimento. Non che in Serie A si stia meglio, se è vero che dei 4 miliardi di debiti complessivi oltre 3,6 vengono da lì, che dagli stadi in media vecchi di 60 anni si ricava solo l’8% degli introiti e dalle televisioni, che tutto decidono, oltre il 40%.

MA DALL’ALTRO lato si sta peggio. In Lega Pro l’incidenza dei debiti sulle attività è del 90%, e in media un club perde 1,6 milioni l’anno, come racconta il Report Calcio Figc del 2018. L’Entella, fino a ieri squadra fantasma senza campionato, è infatti solo la punta di diamante di una situazione surreale, raccontata in maniera incredula anche dalla stampa straniera che, se da un lato ritrovava interesse per il calcio italiano dopo l’arrivo di Ronaldo, dall’altro rimaneva attonita davanti alle vicende della squadra ligure. E ora? Nonostante le battutacce sessiste e sessuofobiche che ne hanno salutato l’elezione alla vicepresidenza della Lega Pro, è certamente meglio l’attrice Capotondi (nipote di uno storico accompagnatore della Roma e giocatrice dilettante) dei molti manichini inamidati che hanno creato questo caos, forse consapevolmente, visto che lo scopo del calcio minore è da sempre il controllo politico ed economico del territorio, e quando le squadre non servono si fanno fallire: in media una decina l’anno. Se è però lecito sperare che una delle giovani donne emerse dal midterm americano possa mutare i destini del mondo, nel calcio italiano è più difficile.

QUI SI CAMBIA tutto per non cambiare nulla. Dodici mesi dopo la mancata qualificazione della nazionale a Russia 2018, dalle dimissioni di Tavecchio e dall’arrivo del presidente del Coni con il suo stuolo di commissari, l’ancien regime ha ripreso il sopravvento. Proprio l’ex boss della Lega Pro Gravina è diventato presidente della Figc a maggioranza bulgara (97% dei voti) approfittando dei disastri di Malagò – dalla farsa delle seconde squadre mai partite alle pantomime sui diritti tv. Dodici mesi in cui la politica del pallone, tradizionalmente divisa tra centrosinistra e centrodestra, ha faticato ad allinearsi con il nuovo esecutivo, fino a che sulla scia del grillino Tommasi l’asse di centrodestra Sibilla-Gravina si è allineato all’ala leghista, orchestrando con il sottosegretario con delega allo sport Giorgetti una manovra di accerchiamento di Malagò, uscitone a pezzi. Vedi la prossima riforma della potentissima Coni Servizi e la conseguente gestione dei contributi alle federazioni (fino a ieri il potere supremo del Coni) decisa direttamente dal ministero dell’Economia.

CAPITO l’andazzo, Malagò si è consolato con l’elezione al Cio e ha salutato quel mondo del calcio che voleva trasformare in un circolo sportivo pariolino affacciato sul Tevere e ha invece lasciato come le Vele di Calatrava a Tor Vergata: orrenda opera incompiuta che simboleggia il fallimento economico e sociale dei Mondiali di nuoto 2009 e, più in generale, del modo di gestire lo sport in Italia.