Un piano per la chiusura di Guantanamo era stato promesso sette anni fa e Obama lo ha annunciato martedì, negli ultimi mesi della sua presidenza, durante l’incontro con la stampa.

«Si tratta di chiudere un capitolo della nostra storia – ha detto Obama -, riflette le lezioni che abbiamo imparato dal 9/11. Lezioni che devono guidare la nostra nazione per il futuro. Da tempo è evidente che Guantanamo mina i valori americani e non aiuta la nostra sicurezza nazionale, è controproducente perché gli estremisti la usano come strumento di propaganda ed esaurisce risorse».

Il Pentagono propone di trasferire i rimanenti 91 detenuti tra i loro paesi d’origine e gli Stati Uniti in prigioni militari o civili e ha delineato quattro mosse principali: trasferire 35 detenuti nei paesi stranieri designati, lavorare con il congresso per stabilire dove negli Usa trasferire gli altri detenuti, valutare se la loro detenzione è ancora necessaria, continuare a utilizzare strumenti legali con i detenuti in suolo americano. Negli Usa sono state prese in considerazione 13 diverse località, tra cui sette prigioni in Colorado, South Carolina e Kansas, e sei basi militari.

Obama ha descritto le corti americane come collaudate e forti, in grado di processare i sospetti terroristi; gli Stati uniti hanno già detenuto pericolosi terroristi «e lo hanno fatto molto bene». L’attuale commissione militare non dovrebbe essere un precedente per il futuro.

La chiusura di Guantanamo farebbe risparmiare agli Stati Uniti 450 milioni di dollari l’anno, e nel piano preparato dal Pentagono si insiste su questo punto sottolineando che, dopo 3-5 anni dalla chiusura, il risparmio sarebbe tra 65 e 85 milioni annui. Ma il punto non è solo economico, chiudere Guantanamo toglierebbe la macchia di incompiuto dall’amministrazione Obama che ne aveva fatto un cavallo di battaglia.

Guantanamo è stata aperta da Bush nel gennaio 2002, da lì sono passati circa 800 prigionieri, solo per alcuni di questi è stato formalizzato un capo di imputazione con conseguente rinvio a giudizio, è stata definita un buco nero legale in quanto i reclusi non sono stati classificati né come imputati di reati ordinari, né come prigionieri di guerra, come specificato da Rumsfield , segretario della difesa di Bush, ma come generici detenuti quindi senza alcuno status e prassi applicabile.
Alla fine del suo mandato Bush stesso aveva parlato della necessità di chiudere Guantanamo: «Gliene rendo merito – ha detto Obama – però non lo ha fatto. Non voglio trasferire questo problema al prossimo presidente: se non facciamo adesso quello che serve, quando mai lo faremo? Questo piano merita un esame imparziale anche in un anno elettorale».

E qua si delinea un nodo: finora il tema di Guantanamo non era ancora comparso in questa campagna che doveva essere una passeggiata di Hillary verso la casa bianca ma che, con la comparsa di Trump e l’imprevista popolarità di Sanders, si sta rivelando una pioggia di fuochi incrociati; questo annuncio entra nel pieno delle primarie e sicuramente entrerà nel dibattito. Subito Marco Rubio, dal suo comizio in Nevada, ha insinuato che Obama più che liberare prigionieri vuole restituire la base a Cuba come merce di scambio e che i rinchiusi non sono veri prigionieri ma nemici combattenti.

Ma non solo i candidati repubblicani, il congresso stesso è di parere profondamente contrario e prevede di bloccare la mossa. Paul Ryan, presidente della camera dei rappresentanti, ha subito dichiarato che «il piano non fornisce i dettagli chiave previsti dalla legge, ed è contro la legge americana trasferire dei detenuti per terrorismo in suolo statunitense».
Delle difficoltà Obama è consapevole : «Fosse stato facile – ha detto – la chiusura sarebbe avvenuta anni fa. Anche in un anno elettorale, dovremmo avere un dialogo aperto e onesto. Facciamo ciò che è giusto per l’America. Penso ci sia un’opportunità di fare progressi, abbiamo il dovere di provarci».