Tornare alla lettura e alla discussione dei testi è sempre un esercizio utile, soprattutto in tempi di frastuono spettacolare. Quando poi l’occasione offerta è quella di accostarsi a due filosofe come Marìa Zambrano e Simone Weil allora l’esercizio diventa necessario. Per dare senso alla politica e ribadire che no, non si erano sbagliate nella loro analisi sul modo di intendere il mondo e chi lo abita.

Da anni le riflessioni di Marìa Zambrano e Simone Weil consentono scambio e confronto politico, insieme alla risorsa di averle sapute sistemare all’interno di un percorso genealogico femminista. È forse congruo riflettere su questo sfondo per dire che il recente libro di Stefania Tarantino Aneu metròs/senza madre. L’anima perduta dell’Europa. Marìa Zambrano e Simone Weil (La scuola di Pitagora, pp. 272, euro 18) è ancor più propizio e si inserisce in uno scenario politico e filosofico primario. Il volume sarà presentato, assieme al saggio «Femminismo e neoliberalismo. Libertà femminile versus imprenditoria di sé e precarietà» (Natan), sabato 7 marzo alla Libreria delle donne di Milano (ore 18). «È necessario ripartire da ciò che ha fatto d’inciampo al pensiero perché senza madre non si ritorna più a ciò che noi siamo: creature nate nel due irriducibile e contraddittorio della relazione». Questa, in breve, è la posta in gioco politica del volume che si posiziona all’interno del pensiero della differenza sessuale da lungo tempo impegnato, come è noto, nella lettura politica e critico-filosofica di Zambrano e Weil.

Tra esilio e presa di coscienza

MARÍAZAMBRANO

L’interrogazione è dunque sull’inciampo del pensiero occidentale che si è creduto senza madre, insieme alla straordinaria violenza che ha prodotto. L’orientamento proposto da entrambe poggia da un lato sul contributo mosso a frantumare il nocciolo coriaceo e neutro del pensiero metafisico tradizionale e dall’altro sulla proposta di una comunità capace di pratiche politiche all’altezza dei viventi. Si sono così misurate intorno all’idea di Europa come possibilità di decifrare il presente. Ne andava di loro stesse. La produzione approfondita da Tarantino risponde infatti ai primi anni Quaranta, momento doppiamente cruciale: sia per l’Europa, funestata da guerre e violenze, sia per la vita e il pensiero di Zambrano e Weil, tra esilio, patimenti e presa di coscienza.
Il fuoco centrale ruota intorno ad alcuni testi. Il primo capitolo del volume di Stefania Tarantino si sofferma su Marìa Zambrano e L’agonia dell’Europa (in continuità con L’uomo e il divino), raccolta di brevi saggi e testi di conferenze scritti da esule in America Latina. Pubblicato a Buneos Aires nel 1945, è stato editato in Spagna solo nel 1988. Testo potente che già dall’avvertenza indica un’intenzione precisa: «è sparito il mondo, ma il sentimento che ci radica in esso no». Se infatti l’agonia dell’Europa richiede un’analisi di coscienza dei falsi miti rincorsi dall’Occidente, di fronte alla dispersione e alla perdita di ogni immediatezza non si può retrocedere. Per cominciare a capire profondamente quale sia la malattia della politica che sovrasta l’Europa secondo Zambrano bisognerà anzitutto domandarsi «Dove risiede l’origine della violenza europea? Fare questa domanda equivale a interrogarsi sulle origini dell’Europa, sulla sua nascita». Andando a scoprire quali sono le cause di tale violenza si delinea la pericolosità di concezioni assolutistiche e la conseguente creazione del cosiddetto Dio europeo che ha consentito all’uomo di deificarsi. Zambrano auspica allora una conversione totale della politica occidentale, una trasformazione che non getti via il buono che delle radici europee può toccarci in sorte.

Ma il problema è più complesso di così, non si tratta cioè di fare ritorno a qualcosa di incontaminato che non si è saputo riconoscere; si tratta piuttosto di inchiodare – e cambiare di segno – quel che fonda la violenza europea, nominando la tracotanza ammalante della ragione che, espunto il dato corporeo, non ammette repliche e si forgia sul cosiddetto «attivismo epistemico». Occorre rivolgersi a una ragione mediatrice, a qualcosa che dia conto del sapere dell’esperienza e che non viva di scissioni tra il pensare e il sentire. «Solo tenendo conto della diversificazione della ragione – chiosa Tarantino in accordo con Zambrano – si distruggono i pericoli della ragione totalitaria, violenta e superba». È dunque la stessa legge idolatrica occidentale a essere messa in discussione, nella sua struttura esiziale che prevede idolo e vittima. All’atto di tracotanza, misto e simile all’ossessione di deificazione, risponde l’azione «sacra» di Antigone con tutto ciò che ha comportato per Zambrano riscriverne la storia.

Simone-Weil

Il secondo capitolo di Aneu metròs/senza madre è dedicato a Simone Weil. Figura che non smette di suscitare forte attrazione da parte del pensiero della differenza sessuale, è stata al centro di un recente numero di Via Dogana (110, settembre 2014) che l’ha scelta come ispiratrice per aprire un’interrogazione sull’Europa. Con interventi importanti e dibattiti che poi si sono sporti anche al di là dell’occasione monografica, varrà la pena segnalare che in generale il dibattito femminista sull’Europa è stato proficuo e diffuso. A tal proposito, lo scorso settembre è uscito anche il n. 107 di Leggendaria che riporta un corposo dossier sull’Europa, a seguito della discussione pubblica del documento diffuso dal gruppo del mercoledì che si intitolava Dei legami e dei conflitti. Cosa succede se l’Europa si prende cura? e per il quale si rimanda anche al sito DeA/ Donne e Altri in cui sono presenti ulteriori contributi.

Come Simone Weil abbia significato i conflitti e la malattia dell’Occidente lo evinciamo da più di un suo testo. Tarantino muove dal dibattito avvenuto nei Nouveaux Cahiers sull’affermarsi dell’hitlerismo, sull’assetto da dare all’Europa del dopoguerra e sulla condizione da serbare a una Germania disfatta.

Ostacoli radicali

Weil si accorge che i suoi contemporanei non riescono a scandagliare le logiche occidentali incistate dalla violenza bensì ne forniscono spiegazioni insufficienti. Eppure sarebbe bastato, fin da allora, dare conto di quei quattro ostacoli che Weil rintraccia ne La prima radice come ciò che ci distanzia irrimediabilmente da una forma di civiltà – e quindi di comunità – che valga qualcosa: la falsa idea di grandezza, la degradazione del senso di giustizia, l’idolatria per il denaro, l’assenza di spiritualità. Sono ostacoli radicali «perché è dubbio che in questo momento un solo essere umano sulla superficie del globo terrestre sfugga a quella quadruplice malattia ed è anche più dubbio che ve ne sia uno solo di razza bianca. Ma se ve ne sono, nonostante tutto, come bisogna sperare, sono certo nascosti». Che emergano dal nascondiglio fa sostanzialmente parte di quel che si augura Stefania Tarantino, perché non basta più crucciarsi solo dello strabismo teorico né dolersi quando, nella divaricazione fra l’attuale dittatura finanziaria dell’economia e un’Europa che si è creduta senza madre, a finire massacrate sono migliaia di esistenze spesso indegne di lutto.