Il 4 marzo 2018 l’assessore regionale al Bilancio, Franco Talarico (Udc), perde il seggio alla Camera per appena 990 voti, lo 0,85 %, un’inezia. È il collegio uninominale di Calabria 2, la circoscrizione reggina. Secondo la procura della Dda di Catanzaro, che lo ha posto ai domiciliari per scambio politico mafioso, optare per Reggio sarebbe stata una scelta ponderata per non destare sospetti.

«Tenere un basso profilo, agire sotto traccia» erano, secondo gli inquirenti, le regole d’ingaggio di quel patto che sarebbe stato stretto tra il lametino Talarico, notabili dell’Unione di centro catanzarese ed esponenti di spicco della ‘ndrangheta crotonese. Una presunta promessa di appoggio elettorale all’origine del coinvolgimento anche di Lorenzo Cesa, segretario nazionale Udc, indagato per associazione a delinquere, a cui è stata perquisita l’abitazione romana e che si è dimesso dall’incarico «con effetto immediato» dichiarandosi estraneo ai fatti. Tra Talarico e Cesa c’è un rapporto che va avanti da anni. Il segretario dell’Udc fu eletto europarlamentare nella circoscrizione meridionale proprio grazie alla barca di voti presa in Calabria. E per molti anni Talarico ha lavorato a Roma nella struttura nazionale del partito guidata da Cesa.

Secondo l’inchiesta una consorteria, nelle persone dell’imprenditore Antonio Gallo, del consigliere comunale di Catanzaro Tommaso Brutto e del figlio Saverio, assessore a Simeri Crichi, sarebbe entrata in azione in occasione delle politiche per il rinnovo della Camera e del Senato dove l’Udc era in campo con la destra. L’accordo sarebbe consistito nella promessa di «entrature» per l’ottenimento di appalti per la fornitura di prodotti antinfortunistici erogati dall’impresa di Gallo e banditi da enti pubblici economici e società in house, «attraverso – scrivono i magistrati – la mediazione dell’europarlamentare Cesa in cambio della promessa di un pacchetto di voti».

L’inchiesta Basso profilo ha portato all’arresto di 49 persone, 13 in carcere e 36 ai domiciliari. Nel mirino, le ‘ndrine di Crotone, Isola Capo Rizzuto e Cutro, i Vrenna-Bonaventura, gli Arena e i Grande-Aracri, nonché imprenditori ed esponenti della pubblica amministrazione.
Quando Talarico arrivò nel circondario reggino, spiegano gli inquirenti, aveva bisogno di agganci. «Di questo si occupò Gallo – sottolinea il procuratore Nicola Gratteri – che si rivolse a Bruno Porcino, Antonino Pirrello e a Enrico Natale, soggetti inquadrati nei De Stefano-Tegano». In cambio dei voti, Talarico si sarebbe adoperato per organizzare una cena romana tra Gallo e il segretario nazionale del partito, allora europarlamentare. Obiettivo: ottenere gli appalti a cui l’imprenditore anelava. «Quel che fa impressione – rileva il procuratore – è un mondo delle professioni, tra cui un notaio di Catanzaro, al servizio di faccendieri e ‘ndranghetisti. Ogni indagine è un passo in avanti in cui entriamo sempre più nei meandri della pubblica amministrazione e della classe dirigente, nella borghesia, tra i ceti aristocratici e dotti. E scopriamo pezzi di mondo marci. Non stiamo parlando di stato di necessità, d’ingordigia».

L’inchiesta impatta sul quadro politico nazionale e condiziona l’imminente tornata regionale. «Ma questa inchiesta, come le altre più recenti, non influirà così tanto sul risultato – rimarca l’ex senatore lametino Nuccio Iovine – in Calabria la società è disincantata e disorientata, ormai assuefatta a questo andazzo. L’anno scorso a Lamezia si è tornati al voto dopo lo scioglimento per mafia del consiglio e il sindaco uscente è stato rieletto».

In vista dell’11 aprile in ogni caso una nuova inchiesta si abbatte sul centrodestra, una coalizione che in appena 11 mesi di consiliatura ha già visto arrestati Antonio Creazzo (Fdi) e Mimmo Tallini (Fi). Un record.