«Il corpo è la nostra storia. Balliamo a perdifiato, quasi fosse una corsa, una danza di donne in ritardo sui loro corpi»: nel romanzo Non si tocca di Ketty Rouf (e/o, pp. 192, euro 17, traduzione di Valentina Abaterusso) la protagonista Joséphine, docente di filosofia in una scuola della periferia parigina, diventa anche una spogliarellista. Afflitta dalla frustrazione di non riuscire a insegnare in classi composte da oltre trenta tra ragazze e ragazzi, in cui l’obbiettivo principale non è quello della trasmissione della conoscenza, ma di tenere a bada adolescenti che devono essere promossi a prescindere, la giovane donna trova una soluzione. Impara a ballare prima e poi inizia a esibirsi nuda. Il libro racconta di queste due esistenze, in classe di giorno e la notte nei privé, dove Joséphine ha visto nascere il suo alter ego Rose Lee. Romanzo d’esordio dell’autrice, il libro si è aggiudicato in Francia il premio Premier Roman 2020.

«Non si tocca» è un romanzo di formazione, perché Joséphine cerca di compiere l’impresa della sua felicità partendo da uno stato di disperazione: «che cosa ho fatto per sprofondare in questa totale assenza di soddisfazione, gioie, denaro? Che enorme e mostruosa stupidaggine aver scelto l’insegnamento». Che cosa ha fatto?
Ha scelto di insegnare, in quest’epoca storica. Si parla moltissimo della condizione attuale del sistema scolastico in Francia, si scrive anche molto, facendo riferimento a una scuola della vigliaccheria, che forma delle persone ignoranti… Però non si agisce per cambiare questa condizione. Si svuotano i programmi, si semplificano i testi, si bandiscono le conoscenze sostituendole con le competenze. Selezionare è diventato immorale, avere autorevolezza anche. Gli insegnanti diventano depressi, come lo è Joséphine all’inizio della storia.

Il rapporto che Joséphine ha col suo mestiere è ambivalente. Fa una critica acerrima nei confronti dell’istituzione scolastica, mentre nei confronti degli alunni momenti di totale insopportazione si alternano a slanci di apprezzamento. Joséphine sbaglia qualcosa o fa tutto ciò che è possibile fare?
Cerca di fare qualcosa. Lo scambio con il suo alunno Hadrien la mette un po’ in pace con se stessa, per esempio, rappresenta un successo, ma anche un’anomalia. Il rapporto intersoggettivo necessario alla trasmissione del sapere tra alunne/i e docente non può quasi avvenire in classi così numerose, in cui tra chi insegna e gli allievi non c’è relazione. Poi, a differenza di ciò che viene richiesto agli insegnanti, di avere la vocazione, di agire per abnegazione, Joséphine ha la tendenza a salvare la propria pelle.

Approdando all’esperienza dello striptease, a rendere prima di tutto felice Joséphine è la nudità, la sua e quella delle altre ballerine. Ce ne può parlare?
Joséphine è una donna che all’inizio della storia non ha il coraggio di guardare il suo corpo allo specchio, quindi di conoscersi. Impara a farlo osservando prima le altre ballerine e poi riesce ad apprezzare se stessa. Il romanzo è un inno all’accettazione, non alla bellezza.

La ricerca della felicità e del piacere coincidono infatti per Joséphine/Rose Lee con l’incontro col proprio corpo, in contraddizione con la separazione corpo/mente tipica della filosofia occidentale insegnata a scuola.
Si tratta di una contrapposizione assurda, è dal corpo che si inizia a pensare, non esiste separazione e infatti in questo percorso la protagonista scopre un atto filosofico, di conoscenza sublime attraverso il corpo. Ho dato a Joséphine un passato difficile, quando era ragazzina a scuola la ignoravano e non riconoscevano se fosse una ragazza o un ragazzo, perché penso che il corpo sia l’inizio del problema, ma anche il luogo della sua risoluzione.

«Vi siete mai chiesti perché continuino ad alleggerire i programmi? Perché vogliono darvi di meno, sempre meno perché c’è bisogno di ignoranza e della vostra incapacità di avere un pensiero articolato, profondo». Se il sistema dell’istruzione fosse invece virtuoso, che fine avrebbe fatto Rose Lee?
Non sarebbe esistita. Joséphine avrebbe realizzato nell’insegnamento non solo la sua ricerca della felicità, ma il suo tentativo di dare alla sua esistenza un fondamento filosofico. Le due direzioni parallele nel romanzo, l’insegnamento della filosofia a scuola e lo striptease nei club, sono una il frutto dell’altra: la vita da spogliarellista rappresenta l’applicazione che la protagonista trova alla sua ricerca filosofica. In barba a ogni perbenismo e in opposizione al pensiero dominante, lei si costruisce una virtù esistenziale con un mestiere che credeva degradante, che tutte/i considerano tale. Per Joséphine/Rose Lee risulta più etico ballare nuda che insegnare filosofia a scuola.