È cosa loro. «L’accordo è stato stipulato tra Renzi e Berlusconi e solo loro lo possono rimodulare». Così parlò Francesco Paolo Sisto, che sarebbe il relatore del testo di riforma della legge elettorale, cioè colui che dovrebbe sovrintendere al percorso parlamentare della legge. Sisto, avvocato penalista barese esperto in sicurezza del lavoro, ma berlusconiano fervente, in quanto presidente della prima commissione della camera avrebbe anche il compito di tutelare il diritto dei deputati di fare il loro lavoro, cioè modificare se vogliono, e se ci riescono, il testo della riforma.

Il testo è stato fatto conoscere ai deputati solo venerdì scorso, ma – hanno deciso Pd e Forza Italia in conferenza dei capigruppo ieri – dovrà tassativamente arrivare alla discussione dell’aula entro domani. Tre sedute (notturne) per (non) discutere e (non) emendare. Così che a febbraio i tempi per la discussione potranno essere contingentati. Il bello è che Renzi si lamenta anche: «Le procedure parlamentari – dice a Ballarò – per come sono complicate e farraginose mi confermano una volta di più che bisogna superare il bicameralismo perfetto». Ma il bicameralismo non c’entra in questo caso, visto che tutto avviene all’interno della sola camera dei deputati. E a ritmi che nemmeno il parlamento ucraino. Dunque la «partita» che Renzi assicura essere «nelle mani delle donne e degli uomini che siedono in parlamento», è tutta qui: prendere o lasciare. Perché ha ragione Sisto: giunti all’ultima strettoia decidono Renzi e Berlusconi. Sono tornati a sentirsi più volte ieri e sono pronti a chiudere su poche modifiche al testo sopra il quale si erano stretti la mano dieci giorni fa.

La prima è la cancellazione delle tabelle con le quali Sisto aveva frettolosamente disegnato i collegi: sarà prevista, com’è sempre stata, una delega al governo per rifare questo lavoro tecnico. Con la precisazione, cara a Forza Italia, che l’operazione dovrà concludersi in due mesi. In tempo, se la legge viene approvata a marzo, per tenere aperta la speranza – poco più – del voto a maggio. Un’altra aggiunta sarà la citazione nella legge delle primarie per la selezione dei candidati delle liste bloccate: non saranno obbligatorie ma almeno incentivate. Altra modifica praticamente certa è l’alternanza obbligatoria dei sessi nelle liste, in modo da offrire condizioni di partenza almeno simili alle candidate. Berlusconi avrebbe preferito mantenersi la possibilità di mettere in lista due uomini per ogni donna, ma potrebbe a questo punto accogliere una richiesta di Alfano che, essendo a corto di candidati, insiste per ripristinare le pluricandidature. Con il meccanismo delle opzioni successive il Cavaliere potrebbe così intervenire a risultati acquisiti per sbarrare la strada a eventuali elette, o eletti, poco graditi.

Ma la trattativa Renzi-Berlusconi, con Gianni Letta a triangolare con il Quirinale, sì è concentrata soprattutto sul livello della soglia che le coalizioni devono raggiungere per aver diritto al premio di maggioranza. Dall’incontro nella sede del Pd era uscita la quota assai bassa del 35% per conquistare un premio di maggioranza (che meglio sarebbe chiamare di «prima minoranza») del 18%. Questo solo dal punto di vista formale. A conti fatti il vantaggio per il primo partito della coalizione sarebbe percentualmente molto superiore, visto che i partiti che non superano lo sbarramento ma aiutano le coalizioni a raggiungere il premio sono esclusi dal riparto dei seggi. Il super premio rende praticamente certa una nuova bocciatura della Consulta; l’argomento è stato sollevato da Napolitano, cui spetta la verifica del merito costituzionale della legge all’atto della promulgazione (che può anche essere, come da prassi recente, una promulgazione accompagnata da quei dissensi che di fatto preludono all’intervento della Consulta). Berlusconi accetta un leggero ritocco in alto della quota, ma non fino al 38% proposto da uno dei pochi emendamenti del Pd sopravvissuti agli ultimatum di Renzi. Il punto di incontro potrebbe essere il 37%, contestualmente il premio potrebbe scendere dal 18 al 15%. Per il cavaliere è comunque un azzardo: il più recente sondaggio diffuso dalle sue televisioni (tre giorni fa) vede una teorica coalizione di centrodestra, con dentro tutti dalla Lega a Alfano, al 34,9%. E tutti i piccoli sotto la soglia di sbarramento del 5%.

In cambio di questa «concessione» Berlusconi non fa sconti sulle soglie alte – 5 in coalizione e 8% fuori dalle coalizioni. Ne ha bisogno per richiamare a sé i fuggitivi e impedire la nascita di una coalizione centrista. E poi il Cavaliere insiste perché sia fatta un’eccezione per il Carroccio, regalando ai leghisti qualche deputato solo perché supererebbero l’8% in tre regioni. Una clausola subito battezzata «salva Lega», ma che soprattutto lega per sempre Salvini e Maroni a Forza Italia.