Annunciato come uno spettacolo imperdibile, il processo di Brescia a Piercamillo Davigo per il caso Amara si è in verità aperto piuttosto in sordina. L’ex magistrato e consigliere del Csm, infatti, più che nelle dichiarazioni spontanee rese in aula, il meglio di sé l’ha dato fuori, davanti ai cronisti, quando con il suo solito stile allusivo ha domandato «perché è lecito se dico una cosa a Curzio ed è illecito se la stessa cosa la dico a Ermini? Vorrei sapere perché comportamenti identici a volte vengono considerati reati e altre volte no». Il riferimento è alla maniera con cui i pm Francesco Milanesi e Donato Greco hanno circostanziato l’accusa di rivelazione di atti d’ufficio nei suoi confronti, contestando i colloqui con il vicepresidente del Csm Giovanni Ermini ma non quelli con il presidente di Cassazione Pietro Curzio.

L’OGGETTO DEL CONTENDERE è rappresentato dai verbali nei quali il legale esterno di Eni Pietro Amara parlava dell’esistenza della presunta «Loggia Ungheria», una conventicola di potere in grado di influenzare nomine ai più alti livelli dell’amministrazione pubblica. Divulgando questi verbali a Ermini e al presidente della commissione Antimafia Nicola Morra, almeno secondo l’accusa, Davigo avrebbe abusato delle sue qualità e sarebbe venuto meno ai doveri legati alle sue funzioni.

LA STESSA COSA avrebbe fatto anche il pm Paolo Storari, l’uomo che consegnò la chiavetta con i file dei verbali a Piercamillo Davigo. Già processato con rito abbreviato, Storari è stato assolto perché per il giudice non riteneva di violare il segreto d’ufficio parlando con un membro del Csm. La procura, ad ogni modo, ha già presentato appello contro la decisione. Ai margini della vicenda, Storari aveva anche denunciato l’ex procuratore capo di Milano Francesco Greco e altri magistrati per omissione di atti d’ufficio, ma il caso è stato già archiviato.

A Brescia, dopo aver dato il suo assenso alla presenza delle telecamere in aula – richieste dalla difesa e con la contrarietà della procura -, il presidente Roberto Spanò ha ammesso tutti i testimoni citati dalle parti. Sarà una sfilata di notevole livello: a comparire infatti saranno, oltre a Storari, Greco e Morra, i pm Laura Pedio, Fabio De Pasquale e Alessandra Dolci, il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e il presidente Pietro Curzio, il vicepresidente del Csm David Ermini, alcuni consiglieri e due giornalisti che avevano ricevuto i verbali segreti portandoli poi in procura.

Gran parte dei nomi è arrivata da Davigo, con la procura che, in molti casi, ne ha contestato l’irrilevanza ai fini del processo. Il giudice, nell’ammetterli tutti, ha fatto presente che «di volta in volta ne sarà valutata l’utilità». Dall’analisi delle testimonianze, oltre al verdetto sulla presunta rivelazione di segreto d’ufficio di Davigo, emergeranno probabilmente nuovi elementi sulla complicata situazione che sta vivendo la magistratura italiana, terremotata dallo scontro in seno al Csm e dalle pesanti tensioni interne alla procura di Milano.

«Non ho sollevato questioni di incompatibilità ambientale di Brescia perché non ritengo che si debba scappare dal giudice quando si è innocenti – ha detto Davigo nelle sue dichiarazioni spontanee -, credo di avere delle ragioni e di poterle dimostrare durante il dibattimento. Ho fatto il mio dovere nelle forme in cui andava fatto». La teatralità del momento è stata interrotta una volta da Spanò, che ha ripreso Davigo chiedendogli di «svestire la toga e calarsi nella parte dell’imputato».

LE PROSSIMA UDIENZE sono convocate per il 24 maggio e per il 28 giugno, il primo a salire al banco dei testimoni sarà Paolo Storari.