Di una cosa non si può accusare il nuovo guardasigilli: di perdere tempo. Nella più pura tradizione renziana (lui, che renziano non è), Andrea Orlando si è subito messo all’opera nell’unica attività che poteva permettersi data la mancata esperienza sul campo – non lo diciamo noi, lo dice il suo curriculum – e cioè nel convocare le parti interessate e ascoltarne le proposte.

Proposte a che pro? Nel nostro caso, sulla giustizia civile. O, meglio, sulle improcrastinabili, indispensabili, irrinunciabili misure necessarie a eliminare l’arretrato della giustizia civile, accelerare i tempi del processo civile, ridurre il contenzioso in materia civile.

Volendo: un’impresa titanica. E infatti, titanicamente, ha subito raccolto il plauso delle categorie interessate. Per la verità, dalla sua, il guardasigilli ha in vantaggio di dovere mettere d’accordo pochi, anzi pochissimi soggetti professionali o istituzionali. I giudici, ovviamente, e poi gli avvocati insieme con i rappresentanti della burocrazia ministeriale (che è stata, negli ultimi anni, la vera amministratrice della giustizia italiana). Ebbene, i più entusiasti sono gli avvocati. Da un paio di settimane, il Consiglio Nazionale Forense dispensa comunicati di grande sostegno al ministro, sottolineando quella che è stata la sua prima inequivocabile qualità, e cioè l’essere disponibile a discutere laddove i suoi più recenti predecessori avevano praticato un costante solipsismo riformatore, peraltro assai discutibile nel merito. Soddisfatti del metodo sono sicuramente anche i giudici. L’Anm considera positivo il confronto e, in sovrappiù, i magistrati hanno condiviso con le loro controparti processuali due punti centrali del ddl lasciato in eredità dalla ministra Cancellieri. Vale a dire la responsabilità solidale cui sarebbe chiamato l’avvocato in caso di accertata lite temeraria e la motivazione facoltativa della sentenza. Li hanno condivisi nel senso di bocciarli come negativi. Ovviamente, tutti gli interlocutori sono poi d’accordo sull’analisi portata dalle strutture ministeriali circa lo stato dell’arte del processo civile telematico che mostra ottimi segnali di buona resa e di altrettanta utilità nelle aree del paese dove è in funzione (al nord e al centro) mentre risulta drammaticamente inesistente in ampie zone del mezzogiorno.

Ma quando si passa ai contenuti delle possibili iniziative, allora le posizioni più che divergere si diversificano.

Gli avvocati hanno già presentato al ministro la loro lista della spesa, se così vogliamo chiamarla senza nulla togliere alla gravità della situazione. E in questa lista molte sono le proposte alternative alla giurisdizione: camere arbitrali, negoziazioni assistite dai legali, assegnazione agli avvocati delle separazioni in assenza di figli, procedimenti preliminari al contenzioso civile. Tutte, rigorosamente, alternative alla mediazione obbligatoria. E tutte, poco fantasiosamente, centrate sulla figura dell’avvocato. Non ci sono state preclusioni iniziali da parte dell’Anm, anche perché, quantomeno scorrendone i titoli, possono essere buone soluzioni davvero. Tuttavia, qualche perplessità è stata registrata. Innanzitutto, alcune misure paiono la duplicazione di strumenti già introdotti che non hanno peraltro dato grande prova: la stessa mediazione obbligatoria ha dimostrato, cifre alla mano (il numero di contenziosi risolti è pari soltanto al numero dei mediatori creati), di non incontrare granché il favore dei cittadini. Anche per questo, i magistrati si sono riservati di portare al ministro i loro suggerimenti. Noi ci permettiamo soltanto di segnalare che, delle tante proposte, una ne manca: l’introduzione del numero chiuso alle facoltà di giurisprudenza. Duecentosessantamila (260.000) avvocati sono sufficienti. Ma qui entra in gioco il peso della lobby che, a monte, condiziona la decisione: quella dei principi del foro che dalle università traggono prestigio.